Vetiver
To Find Me Gone
Se dovessimo fare un discorso di tipo filologico, o comunque delle considerazioni di derivazione musicale, dovremmo necessariamente estrapolare questo disco dalla modernità e proiettarlo in una landa desolata, insaporita dalla rilassatezza di corpi immersi nella natura, adornati e circondati da decorazioni floreali.
Ma là dove l'amico di famiglia Devendra Banhart (che aveva precedentemente collaborato alle due prime opere "Vetiver" del 2004 e l'Ep "In Beetween" del 2005) si ferma a contemplare immense distese dai verdi manti erbosi e brulle distese desertiche abitate dalle molteplici popolazioni indigene, Andy Cabic alias Vetiver entra in contatto diretto e più completo con la forma canzone e con le sue peculiarità più occidentalizzate.
Questo giovane artista americano alla sua terza uscita riesce a rilassare e ad interessare nel contempo, regala cinquanta minuti di pura eleganza e non sbaglia un solo pezzo.
"Been so long" emerge da un ritmo percussivo minimal-tribale a cui si accosta una vocina deliziosa circondata da cori angelici; "You may be blue" è una coinvolgente cavalcata country blueseggiante nella quale si riconoscono tracce di Weather Prophets e The Go Betweens.
Le preziose collaborazioni con la folksinger Joanna Newson all'arpa, Hope Sandoval (Mazzystar) alla voce e Colm O' Ciosoig (My Bloody Valentine) alla batteria si fanno sentire e contribuiscono alla riuscita del disco. "No one world" è propriamente folk, la melodia della voce non si smarrisce tra gli arpeggi e la docile incursione di archi dilatatissimi.
"Idle Ties" e "I know No Pardon" riportano alla memoria un duo contemporaneo molto caro ai neo-folkers, gli australiani Sodastream, specialmente nelle modulazioni della voce e nell'utilizzo complementare degli archi.
Viene deliziosamente rispolverata l’attitudine al lo-fi cantautorale di Syd Barrett in "The Porter" mentre con "Double" riemerge la compattezza orchestrale e compositiva.
In apparenza non sorprende l'esordio di "Red lantern girls", un' altra scampanata e dolcissima slow-song, che però, riserva nel finale una travolgente cavalcata psichedelica dalle chitarre ululanti.
A determinare la chiusura di quest'opera, "Down At The El Rio" ribadisce il concetto portante e l'intero percorso intrapreso da Cabic, canzoni tiepidamente coinvolgenti dalle atmosfere rilassate e pacifiche. Il Rock, che era stato uno dei cardini della ribellione negli anni della contestazione e valvola di sfogo verso una presunta libertà, aveva un fratellino più docile e mansueto, il folk, che combatteva con la dolcezza dei suoni e delle armonie, con il saggio uso della parola ma senza eccedere nel fervore, e questo di certo Vetiver deve saperlo molto bene.
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