R Recensione

7/10

Vetiver

To Find Me Gone

Se dovessimo fare un discorso di tipo filologico, o comunque delle considerazioni di derivazione musicale, dovremmo necessariamente estrapolare questo disco dalla modernità e proiettarlo in una landa desolata, insaporita dalla rilassatezza di corpi immersi nella natura, adornati e circondati da decorazioni floreali.

Ma là dove l'amico di famiglia Devendra Banhart (che aveva precedentemente collaborato alle due prime opere "Vetiver" del 2004 e l'Ep "In Beetween" del 2005) si ferma a contemplare immense distese dai verdi manti erbosi e brulle distese desertiche abitate dalle molteplici popolazioni indigene, Andy Cabic alias Vetiver entra in contatto diretto e più completo con la forma canzone e con le sue peculiarità più occidentalizzate.

Questo giovane artista americano alla sua terza uscita riesce a rilassare e ad interessare nel contempo, regala cinquanta minuti di pura eleganza e non sbaglia un solo pezzo.

"Been so long" emerge da un ritmo percussivo minimal-tribale a cui si accosta una vocina deliziosa circondata da cori angelici; "You may be blue" è una coinvolgente cavalcata country blueseggiante nella quale si riconoscono tracce di Weather Prophets e The Go Betweens.

Le preziose collaborazioni con la folksinger Joanna Newson all'arpa, Hope Sandoval (Mazzystar) alla voce e Colm O' Ciosoig (My Bloody Valentine) alla batteria si fanno sentire e contribuiscono alla riuscita del disco. "No one world" è propriamente folk, la melodia della voce non si smarrisce tra gli arpeggi e la docile incursione di archi dilatatissimi.

"Idle Ties" e "I know No Pardon" riportano alla memoria un duo contemporaneo molto caro ai neo-folkers, gli australiani Sodastream, specialmente nelle modulazioni della voce e nell'utilizzo complementare degli archi.

Viene deliziosamente rispolverata l’attitudine al lo-fi cantautorale di Syd Barrett in "The Porter" mentre con "Double" riemerge la compattezza orchestrale e compositiva.

In apparenza non sorprende l'esordio di "Red lantern girls", un' altra scampanata e dolcissima slow-song, che però, riserva nel finale una travolgente cavalcata psichedelica dalle chitarre ululanti.

A determinare la chiusura di quest'opera, "Down At The El Rio" ribadisce il concetto portante e l'intero percorso intrapreso da Cabic, canzoni tiepidamente coinvolgenti dalle atmosfere rilassate e pacifiche. Il Rock, che era stato uno dei cardini della ribellione negli anni della contestazione e valvola di sfogo verso una presunta libertà, aveva un fratellino più docile e mansueto, il folk, che combatteva con la dolcezza dei suoni e delle armonie, con il saggio uso della parola ma senza eccedere nel fervore, e questo di certo Vetiver deve saperlo molto bene.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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gerogerigegege alle 17:45 del 24 maggio 2007 ha scritto:

uno degli album più freschi dell'anno scorso...l'ho 'figurativamente' consumato nel mio lettore spappolato in spiaggia...

bella recensione!

madameG (ha votato 7 questo disco) alle 21:40 del 7 febbraio 2008 ha scritto:

Il disco è buono, un po' soporifero e costantemente suonato e cantato in punta di piedi.

sarebbe bastato qualche brano più carico per renderlo più appetibile

Ha il pregio di contenere un capolavoro di canzone come "I know no pardon".

Indimenticabile come la dolce carezza di un amante.