A Prince Vecchioprosciutto

Prince Vecchioprosciutto

Compirò trentanove anni il giorno prima di Natale, e il mio nome in italiano suonerebbe più o meno Guglielmo Vecchioprosciutto. Salve, sono Will Oldham, diamoci pure del tu. Domani sera sono a suonare a Torino, all’Espace. Mercoledì a Bologna, all’Estragon. Giovedì a Foligno, all’Auditorium San Domenico.

Con me c’è una tipa, Susanna, è norvegese, canta e suona il piano, carina da morire, fa la cover di Hallelujah di Leonard Cohen e di Love will tear us apart dei Joy Division, ho cantato nel suo ultimo disco, carina da morire, giuro, dai, venite. Ho tanta barba e pochi capelli, sono un cantautore americano piuttosto bravo. Ho la voce che ci vuole, e so tutti i trucchi per scrivere una grande canzone. Ho fatto del cinema da giovane, ho avuto più pseudonimi di Prince e tiro fuori un ritornello geniale ogni volta che vado in bagno. Non mi posso lamentare. Non ho un manager, di solito trovo i contatti per i concerti abbastanza a caso: l’amico di uno con cui ho suonato una volta mi gira la mail di quell’altro che inaugurava una mostra lì di fianco, gli scrivo, mi risponde, ci prende bene, lo facciamo. Facile.

La vita mi funziona così da quindici anni, ho fatto un sacco di dischi e ho girato il mondo, no, sul serio, non mi posso lamentare. Ogni tanto faccio fatica, ma è sempre meglio che andare a lavorare. In quindici anni di carriera, mi sono chiamato: Palace Brothers, Palace Music, Palace Songs. Mi prendevano bene i palazzi, non chiedetemi perché. Il mio uso compulsivo di pseudonimi mi accomuna a Prince, ma io suono musica-americana-delle-radici, poche pippe. Poi arrivano i recensori e qualcosa dovranno pur scrivere: l’indie rock l’indie folk l’indie blues l’indie boh. Il mio pseudonimo più famoso da dieci anni a questa parte è Bonnie Prince Billy, che in italiano suonerebbe più o meno Bonnie Principe Billy. Non Principe Bonny Billy, proprio Bonnie Principe Billy. Come Nat King Cole, con il Re nel mezzo.

L’unico tratto in comune tra me e Prince è il nome, quando usiamo lo stesso nome. Ma si era capito. Bazze di Bonnie Prince Billy con l’Italia, parecchie. La più divertente è questa: Will ha cantato una canzone in italiano nell’ep della band genovese Numero 6. Il dischetto si chiama Quando arriva la gente si sente meglio – applausi per il titolo – , e si scarica gratis da internet, legalmente, sul serio, non vi arrestano, basta andare su numero6.com. Contatti con il Giro Giusto: nella colonna sonora di Palermo Shooting, l’ultimo di Wim Wenders, c’è un brano inedito del nostro ragazzone (Torn and brayed). Tra l’altro, se c’è una cosa che Will non può sopportare sono i registi che usano le canzoni della gente nei film: “Dovrebbero darci il tempo di scrivere musica e parole, lo stesso tempo che loro hanno avuto per recitare, fare il montaggio e tutto il resto. Non si usa una canzone così, a caso, perché suona bene. Una canzone è come una sfera, una sfera compatta. Non impenetrabile, ma compatta. Una canzone è un pianeta. Se un marziano vuole sentire come è fatta la Terra, infila il suo dito lunghissimo nel mare e si fa un’idea, perché la Terra è compatta, capisci? Una canzone deve restare unita a se stessa, capisci?”. Il giornalista non capisce.

Ultima uscita discografica: il già-recensito-ovunque Beware (2009), disco numero duemilaseicento della torrenziale produzione di Will. Ultimo avvistamento del nostro marinaio: alle Hawaii, a febbraio. “Ci ho portato la mia mamma – ha detto al giornalista che non capisce – sai, qua si sta meglio che in Kentucky”. Brillante deduzione, Sherlock. “No, sul serio – ha proseguito Will – è che non mi piacciono le città. Sono più uno da campagna. Anche a Honolulu c’è il McDonald’s, e i supermercati stanno aperti fino a tardi, però tutto è molto più tranquillo. C’è il barbiere, l’ufficio postale, il forno, quelle cose lì. Si sentono cantare gli uccelli. I galli, cacchio, qua la gente ha i galli! Giro per strada e sento i galli cantare: questo in città non succede. È per questo che non mi piacciono le città”.

Poi però ha detto che Bologna invece gli piace un casino, ma il registratore aveva finito le pile. Com’era quella frase che cantavi in italiano nel disco dei genovesi, Bonnie? “È mio pieno diritto andarmene / senza aver salutato gli altri”. Ciao, eh.

C Commenti

Ci sono 5 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

fabfabfab alle 13:11 del 28 aprile 2009 ha scritto:

E’ mio pieno diritto andarmene / senza aver salutato gli altri

Una frase che rimane impressa, a quanto pare...

Bell'articolo, come al solito.

target alle 14:10 del 28 aprile 2009 ha scritto:

Vai a sentirlo, fab? Complimenti a simone/will!

fabfabfab alle 14:13 del 28 aprile 2009 ha scritto:

RE:

Che domande....

target alle 14:22 del 28 aprile 2009 ha scritto:

In effetti... ingenuo io. Digli da parte mia che non gli venga più in mente di tagliarsi la barba.

fabfabfab alle 14:32 del 28 aprile 2009 ha scritto:

Gli dirò anche che quest'anno un certo Bill Callahan / Smog lo ha sconfitto senza pietà...