Sisters of Mercy
First and Last and Always
Quando si pensa ai Sisters of Mercy viene immediatamente in mente un genere che ha sfornato artisti meravigliosi, altri francamente un pò pacchiani e grossolani: il goth.
Beh, i Sisters of Mercy sono sempre stati in bilico tra meraviglia e pacchianeria, tra genio e occhiali neri a mezzanotte. La loro musica a tratti è mozzafiato a tratti un pò troppo da stereotipo. Infatti i cinque britannici gli stereotipi goth li incarnano tutti e non hanno avuto mai intenzione di prenderne le distanze: i famigerati occhiali neri di cui parlavo prima, i capelli laccati e rigorosamente neri. La voce baritonale di Andrew Eldritch ha fatto la storia del genere, ha subito decine di tentativi di plagio ed è diventata l'essenza stessa dell'essere dark.
Siamo nel 1985, il goth rock ha ormai raggiunto il suo apogeo artistico. I Joy Division hanno già pubblicato lo splendido Closer, i Cure Pornography. Siouxsie and the Banshees e Clan of Xymox continuano a ruota libera la loro personalissima ricerca e interpretazione del genere, ma anche loro hanno già pubblicato i loro A kiss in the dreamhouse e i loro Medusa. Ad Andrew Eldritch, Crang Adams, Wayne Hussey, Gary Marx e Doktor Avalanche (così venne ribatezzata la drum machine del gruppo) non resta altro che entrare in studio e provare a scrivere il loro personalissimo capolavoro dark.
First and Last and Always inizia come ogni appassionato dark vorrebbe: con Black Planet, il cui titolo già dice tutto. Un riff che sembra provenire dalle viscere della terra e un Eldritch da pelle d'oca regalano ai fans uno dei pezzi più rappresentativi del gruppo. Walk Away riesce a mantenere l'album su standard qualitativi eccellenti, mentre No time to Cry e A Rock and a Hard Place, pur non essendo all'altezza dei primi due brani, fanno il loro dovere e non deludono le aspettative dei ammiratori in occhiali scuri.La quinta traccia è Marian, una canzone semplicemente stupenda, che tutti gli amanti della musica dark dovrebbero conoscere.
La negatività, il senso di vuoto, il feeling claustrofobico pervadono anche il lato B del disco, e la title track e così cupa e desolata da far aumentare paurosamente i battiti cardiaci. Possession è una di quelle canzoni da stereotipo di cui si parlava prima, col ghigno baritonale del cantante che in questo caso bisbiglia il testo. Le discrete Nine while nine e Amphetamine logic sono solo il preludio di quello che è il capolavoro di questo capitolo delle Sorelle della misericordia: Some Kind of Stranger. Un lungo e desolato inno al nulla che conduce al celebre verso "Come here I think you're beautiful My door is open wide Some kind of angel come inside" che culmina con un cantato disperato del frontman. Da pelle d'oca.
Uno degli album e delle band più sottovalutati di sempre, che a modesto avviso di chi scrive non hanno mai trovato la giusta consacrazione proprio a causa dell'incapacità di saper spaziare e di sapersi allontanare dal clichè che ha un pò perseguitato altri artisti simili. L'incapacità di trovare un equilibrio versatile e differenziato che ha contraddistinto band come Bauhaus o The Cure.
Pietra miliare.
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