U2
No Line On The Horizon
Da tre lustri almeno i cittadini di Rocklandia si apettano soluzioni in tempi ragionevoli, e invece in più di un caso i Senatori di Dublino annunciano provvedimenti che puntualmente si arenano nei labirinti oscuri degli studi di registrazione, un po' quello che succede nelle aule parlamentari.
Diciamocelo: il problema di questa avversione dilagante nei confronti degli U2 non è tanto da ricercare nei proclami solenni, nelle esortazioni populiste, nelle preghiere di Bonovox, quanto nel fatto che questo corollario di circostanze .... a lungo andare stucchevoli, non è mai stato supportato da dischi validi. Fossero usciti dischi quantomeno adeguati al loro blasone, nessuno avrebbe avuto nulla da frignare alla visione di Bono con Pavarotti, Bush, un paio di Papi, Paris Hilton, Boyzone & company; e invece nulla, lo smarrimento della creatività, album manierati e canonici.... al limite della pretestuosità per tour megagalattici di grande successo.... per fan mai domi e qualche ex fan pentito desideroso di ascoltare schegge degli U2 storici, quelli gagliardi, quelli di An Cat Dubh, quelli di A Sort Of Homecoming, quelli di Exit.
Per il nuovo attesissimo No Line On The Horizon, registrato tra Marocco, Dublino, New York e Londra, entrano in scena tre cavalli di razza : Lanois, Eno, Lillywhite. Non è la prima volta che il terzetto si scomoda per lavorare con gli U2, ma stavolta è diverso, proprio Lanois durante un'intervista tiene a precisare che lui e Eno in questo disco non si limitano alla fase di produzione ma contribuiscono concretamente alla stesura delle tracce.
Con qualche titubanza mi accingo a premere il tasto play del lettore, la partenza è incoraggiante, le prime quattro tracce pur non aggiungendo nulla alla discografia degli U2 si riveleranno quelle meglio "orchestrate" e prodotte dell’intero lavoro: la titletrack (sebbene alcuni cambi di accordo ricordino i fasti di Where The Streets Have No Name) è un intrigante magma sonoro (crunchy guitar e synth) che ha nell’accortezza di fermarsi sempre un attimo prima di esplodere il suo punto di forza, Magnificent (sarà il secondo singolo in heavy rotation) è introdotta da un'ingannevole sequenza elettro ma si rivela ben presto come la classica rock song di stampo U2, Moment Of Surrender dominata da suoni d’organo e tastiere mantiene un'adeguata tensione emotiva sulla quale si adagiano perfettamente i versi saturi di sofferenza di Bono, Unknown Caller va catalogata nella divisione brilliant-deja vu-ballads, forse la migliore traccia per chi scrive, coretti cadenzati che ricordano vagamente ….toh i Talking Heads, e dilatate dispersioni chitarristiche di salubre incisività.
Con la parte centrale dell’album arrivano le note dolenti: I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight è un prevedibile rock da arena senza pretese, sul singolo apripista Get On Your Boots è stato già detto tutto, una sorta di "Vertigo 2 la vendetta" (o la vendemmia se preferite), con Stand Up Comedy le quotazioni non si risollevano, giri di chitarra e basso che funkeggiano pericolosamente vicino a Mysterious Ways senza avere però il piglio mistico del brano di Achtung Baby.
Tesa, quanto solenne e drammatica, procede Fez-Being Born, probabilmente l’ultima traccia degna di nota, il finale scivola via un pochino anonimo: White As Snow, ballata priva di ornamenti, sviluppa l’incombenza senza particolari cadute di tono ma anche senza sussulti, Breathe si nutre di un datato fraseggio old-school di The Edge, mentre Cedars Of Lebanon, come da tradizione U2-esque, chiude il lavoro tra lievi sospiri e toni sommessi.
E' vero, gli U2 non hanno ancora smesso di guardarsi compiaciuti allo specchio, probabilmente hanno raggiunto la consapevolezza del fatto che non riguarda più loro tirare la carretta, oggi i cocchieri sulla via del rock sono i ragazzi nati all'epoca del loro album d'esordio (Boy - 1980), e ai Dubliners non resta (resterebbe) che cambiare strada, definitivamente, nel frattempo questo NLOTH rivela timidi segnali di ripresa.
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