Movie Star Junkies
Evil Moods
Giacché il curriculum dei Movie Star Junkies comincia a farsi decisamente nutrito, non sarà peccato gingillarsi con la sintesi suprema dellatto recensorio, lepiteto incollato al disco, il tweet tranchant ed omnicomprensivo (per comprensibili ragioni di spazio non toccheremo quella selva di split, pure utilissimi per fotografare con esaustività il percorso artistico dei quattro, che affollano in gran numero la loro produzione). Melville era il sudicio, anzi, no!, il sordido par excellence. A Poison Tree era ossessivamente malato. Son Of The Dust era fatiscente, ma di una fatiscenza melodica, morbida, da fine Impero. Evil Moods, quindi? Lungi dal richiamare malefici o malignità, il quarto full length dei Movie Star Junkies è ieratico ed iterato. Non è una condensazione semplice a farsi: sono molte, moltissime, finanche troppe le suggestioni che a più riprese balenano tra questi dieci pezzi. Prima di arrivare ad una conclusione grossomodo condivisa ma pur sempre incerta, provvisoria si pensa ad Evil Moods come al figlioccio punk dei ritornelli di Son Of The Dust, al platter scritto (anche) per onorare la sezione strumentale, allAmerica delle pinte di nona categoria e dei perdenti. Di tutto questo, in verità, rimangono brandelli, richiami: daltra e diversa natura è il nocciolo del discorso.
Si parta, allora, dallesorcismo di Red Harvest, un blues tagliente e percussivo à la Birthday Party in cui Stefano Isaia strascica i propri lamenti sopra la sola linea melodica del basso, mentre chitarre, cori e batteria si condensano in uno stordente attacco voodoo a senso unico. Lo schema trova modo di replicarsi in più occasioni, interpolando strascichi mariachi nel funk infetto ed insistito di Please Come Home, barcollando quasi post-core nella delirante confessione di A Lap Full Of Hate (dove fanno capolino gli orientalismi che stanno alla base de La Piramide Di Sangue), arringando rocknroll nella struttura da folk prebellico di A Promise (maledettismo, nessun ritornello o sua sovrapposizione alle strofe) e concedendosi il proiettile conclusivo, una micidiale Move Like Two Ghosts che trasforma il boogie in una vicenda ad ampio orizzonte, ad un tempo annoiata, minimale e paesaggistica. È quando viene tirato il freno a mano che si accorge, compiutamente, come non vi sia mai stata reale possibilità di scelta, e che Evil Moods sia coerente nella sua impostazione dal primo allultimo minuto: nel loro vestito nero ululano ed ancheggiano ancora alla luna, i Movie Star Junkies, in una Three Time Lost che indovina lo sviluppo strumentale della seconda parte, laddove invece la murder ballad All Sorts Of Misery si imbarca per gli stridori delle chitarre e Rising è unallucinazione psichedelica ad occhi aperti, musicata quasi con gusto da soundtrack.
Evil Moods rinuncia alle pretese copernicane di Son Of The Dust e torna a ribadire, con insistenza, un fatto comprovato: che i Movie Star Junkies siano band di immenso, e sommamente grezzo, talento. Il resto sono chiacchiere e distintivo.
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