V Video

R Recensione

8/10

OvO

Abisso

L'abisso, già. Quello voodoo, forse. Quello nietzschiano, probabilmente. La crepa che si allarga, diventa voragine e si spalanca, ad inghiottire tutto il resto. Tutto ciò è pauroso? Certamente. Gli OvO hanno sempre spaventato, per l'impossibilità congenita di classificare e normalizzare la loro arte. Dove la maggioranza dei gruppi della loro schiatta si sarebbe limitata a radere al suolo ogni edificio possibile, ecco avanzare in retroguardia Bruno Dorella e Stefania Pedretti, raccogliere pazientemente, da bravi scavengers, macerie e frammenti e, con quelli, dare l'avvio alla costruzione di un altro immobile. Due amatori di un'estetica del diverso e del diversamente realizzabile, più che furiosi distruttori senza arte né parte. Dopo decine di lavori in proprio e in tandem, due anni e mezzo fa l'approdo su Supernatural Cat e un “Cor Cordium” che – nell'ansa di un noise-core performativo ed abrasivo come non mai – stampava una montagna di punti esclamativi sul grugno dell'ascoltatore. Sino a fargli perdere l'equilibrio. Sino a farlo finire nell'abisso.

Togliere una maschera non ha semplicemente un significato attoriale. La maschera riproduce qualcosa di uguale e radicalmente diverso da noi. Rinunciare ad indossarla equivale alla rinuncia di un'identità, di un pezzo di sé, di uno spicchio personale ancor prima che artistico. Il costume cade a terra nello stesso istante in cui, dal liquido amniotico di sibili ed effettistica, emerge un gracchiare sgraziato, un imponenti ergersi doom vicino alla vecchia “Ostkreuz”. Quello che accade dopo inaugura, ufficialmente, una nuova fase, un nuovo duo. Stefania leva acuti gemiti e tortura la sua sei corde, spinta sull'orlo del burrone da un oscillatore stridente e lamentoso (la lezione di Xabier Iriondo, qui dentro, si sente tutta): Bruno si siede, mette mano a charleston e pad e tambureggia insolitamente reggaeton. “Tokoloshi” è la “Tanz Debil” degli OvO, un frenetico ballabile che smuove un'orda di zombi sitibondi. Non c'è quasi tempo per riprendersi, perché i morti viventi sono davvero in agguato, e “I Cannibali”, che sfodera una quadratura hardcore old school maligna e permeante, è il loro inno.

Verrebbe da dire che gli OvO hanno scoperto l'elettronica, e il synth è la loro America, il grimaldello che li mette in condizione di aggirare le evidenti limitazioni logistiche imposte dalla loro stessa composizione interna. Vero. In “Abisso” le aggiunte sono discrete, per non snaturare il trademark, ma determinanti al punto da cambiare completamente faccia al settimo lavoro in studio del combo. Ovunque la continuità si intreccia e si salda indissolubilmente al cambiamento, sposando un'idea di songwriting storta e decadente nella sua estrema puntigliosità – nulla di ciò che si sente è lasciato al caso. Ne esce fuori un disco meno potente dei suoi predecessori, nell'affronto fisico, ma così stratificato e ricco di soluzioni da fare, in qualche frangente, gridare al miracolo. È il caso del violento break che devasta “Harmonia Macrocosmica”, potentissima techno-noise scandita dalla marzialità mefistofelica della Pedretti e diluita in un tintinnare psichedelico di sottili melodie. Stefania questa volta non legge Shelley, ma approfondisce i suoi studi sul paganesimo matriarcale e sulle accordature a 432 Hz impiegate, nella musica suonata, prima della standardizzazione a 440 Hz voluta dal regime nazista di Hitler. Il metodo e la cura dell'approccio teorico garantiscono risultati pratici veramente inusuali. “A Dream Within A Dream” si sfilaccia in stringhe drone riverberate sui piatti di Dorella, ambient catacombale che esplode in un rombare sludge solo quando il rituale è perfettamente completato: “Pandemonio” procede esattamente all'inverso, attaccando violentemente grind e fratturandosi poi in microsezioni Melvins; “Fame” è il folle errare dei Čërnobogi haitiani, “Ab Uno” un panzer orrorifico canticchiato con la disinvoltura della filastrocca.

Democristianamente dicevo, ai tempi di “Cor Cordium”, che il mio giudizio positivo costituiva un'indicazione relativa per spingere all'ascolto. Oggi, grazie all'epopea di dolore (e colore) cinematico di “Fly Little Demon”, democristianamente ritratto. Fuori dai denti: “Abisso” è il migliore disco degli OvO e uno dei migliori di quest'anno.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

Ci sono 6 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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TexasGin_82 alle 9:40 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

Marco sai dove si può sentire tutto l'album? bisogna aspettare il 4 novembre?

fabfabfab alle 10:03 del 27 ottobre 2013 ha scritto:

Minchia!

Totalblamblam alle 11:13 del 27 ottobre 2013 ha scritto:

ma davvero minchia........che schifo . mi sono davvero cacato sotto a vedere il video . che pauraaaaaa LOL

Lezabeth Scott alle 18:12 del 27 ottobre 2013 ha scritto:

Don't judge a book by his cover. Gass! Questi pazzoidi suonano da dio! Anzi da diavoli. Meglio da Chtulhu!

Totalblamblam alle 21:11 del 27 ottobre 2013 ha scritto:

certo ma tokoloshi è brutta da morire. se questa è avanguardia siamo alla frutta. lei è più caprina della galas.

Marco_Biasio, autore, alle 12:35 del 28 ottobre 2013 ha scritto:

Perché è brutta?! E' fantastica! Una danza noise su ritmiche reggaeton!