A Gun Club: il fuoco dell'Amore

Gun Club: il fuoco dell'Amore

Con i suoi Gun Club Jeffrey Lee Pierce scrisse alcune delle pagine più belle del blues moderno alternativo, manifestazione personale di una autentica e disperata carica esistenziale.

I Gun Club sono stati un grande gruppo. Certamente non un gruppo conosciuto e idolatrato come tanti altri "mostri sacri" nella storia del rock.

No, i Gun Club e la mente che vi stava dietro, Jeffrey lee Pierce, non hanno mai raggiunto e mai avuto, in termini di riconoscimento popolare, la giusta considerazione.

Una vicenda, quella di Jeffrey Lee, sfortunata sotto tutti gli aspetti, non solo quello musicale.

Di sicuro c' è che Pierce aveva il blues dentro, una bestia che lo divorava dall'interno come un maleficio e che non riuscì mai a scacciare via, in nessun modo.

La loro prima opera è, a parere di chi scrive, certamente la migliore.

Fire Of Love, uscito nel 1981 è un album straordinario. Un album riconducibile a quel movimento punk – wave americano dei primi anni ottanta, per l’appunto, dedito alla riscoperta delle radici della musica americana, blues e country in primis.

All’interno dell’opera è possibile cogliere uno scenario legato indissolubilmente al profondo sud, ai suoi misteri e ai suoi riti.

Musicalmente parlando l’effetto è quello di un blues – punk rurale e febbrile, spavaldo ed eroico nel suo essere sinistro, malvagio e disperato.

Sono presenti dei tratti puramente rituali, intensamente malvagi e a volte erotici con una acuta disperazione di fondo. Vi sono spazi emotivi di rara e devastante intensità, sublimi nel loro incedere musicale.

Esempio di ciò vengono ad essere soprattutto  Preachin' the Blues , cover ripresa tra gli altri anche da uno dei più grandi bluesman esistiti, Robert JohnsonFor The Love of Ivy e Jack on Fire . In queste canzoni Pierce mette in mostra le sue grandi doti teatrali rappresentando null’altro che se stesso. Ma non finisce qui.

L’album presenta infatti momenti di grande forza travolgente di disperazione che è possibile cogliere in brani quali She's Like Heroin to Me, Sex Beat, Ghost on the HighwayFire Spirit.

Sono autentici capolavori scatenati, rabbiosi, crudelmente maligni, pervasi da una sensualità malvagia e ciò, va detto, è merito anche della chitarra suonata da Ward Dotson, capace di praticare una slide veramente sorprendente, cadenzata e ritualistica, ora dolce, ora aspra e cruda.

She's Like Heroin to Me in particolare costituisce, molto probabilmente, l’apice qualitativo del disco, un brano suonato con una impressionante velocità e una travolgente carica, capace di convogliare insieme le emozioni e gli istinti più selvaggi e demoniaci.

Altrettanto spettacolare risulta essere Ghost on the Highway, deragliante nel suo incedere e nella sua veemenza.

La voce di Pierce, autentico bluesman, è generalmente trascinante e epica, suadente e sinistra.   

Gli altri brani sono ugualmente degni di nota, in particolar modo Black Train, blues ferroviario cupo e oscuro.

I testi presentano invece un alone di mistero e di maledizione difficilmente eguagliabile e creano, unitamente alla musica, un clima di perdizione eterna.

Il secondo album del gruppo, Miami (1982), presenta delle differenze ben evidenti rispetto al primo lavoro. Ciò che risalta, soprattutto al primo ascolto, è la minore irruenza. L’aspetto più punk e frenetico è stato certamente limato a favore di un atmosfera sempre rituale e magicamente nera ma meno impetuosa, salvo alcuni episodi.

Il disco inizia con una Carry Home fatalista e disperata, dove la voce di Pierce emerge in tutta la sua carica espressiva e, soprattutto, emotiva. A parere di chi scrive è proprio in questo album che la voce di Jeffrey Lee raggiunge il suo apice, la massima espressività.

L’album in questione è certamente un lavoro omogeneo, pieno di incubi rituali, selvaggi e oscuri, di maledizioni primitive e ancestrali e, in maniera marcata (perlomeno rispetto a Fire Of Love) di autentica disperazione e impotenza esistenziale che sfocia talvolta (ancora) in momenti esistenzialmente furiosi ed eroici quali Like Calling Up Thunder, Devil in the Woods, Bad Indian e soprattutto Sleeping in the Blood City, pezzo dal ritmo a dir poco travolgente e impetuoso.

L’umore del disco è comunque meglio rappresentato da canzoni come la già citata Carry Home, Texas Serenade, veramente sinistra così come, anzi ancor più, Watermelon Man, autentico rituale occulto di sesso e morte.

Degne di essere menzionate anche le cover presenti: John Hardy, Fire of Love di Reynold e soprattutto Run Through the Jungle dei Creedence Clearwater Revival. Il rifacimento da parte di Pierce di quest’ultima è davvero sorprendente e originale, rappresentativa nel suo riadattamento della vita oscura e cupa nei bassifondi e nella giungla metropolitana.

L’album si chiude con Mother of Earth, splendida ballata dove la voce di Pierce, sciamanica e oscura, sta a fianco e allo stesso livello di quelle di Nick Cave e Jim Morrison.

Le ossessioni e i fantasmi personali di Jeffrey Lee cominciano qui a essere veramente manifestati in musica e, soprattutto, cominciano a prendere il sopravvento sull’uomo.

In definitiva quest’album è un autentico capolavoro dove Pierce prosegue la sua ripresa e riattualizzazione artistica e originale delle radici della musica americana. Come già detto, vi è meno irruenza, meno punk ma certamente ancora blues e in maniera più evidente, country.

Il tutto, lo ripetiamo, in una forma musicale assolutamente originale e talvolta difficile da catalogare in maniera definita in quanto genere.

Tra Miami e il successivo album dei Gun Club The Las Vegas Story , uscì un EP, Death Party (1983), composto da cinque canzoni. Ormai Pierce sta abbandonando, almeno musicalmente, l’aspetto punk e questo può essere notato in canzoni come The House on the Highland Avenue , Light of the WorldD, brani dove a prevalere è un umore depresso e di arrendevolezza. Ma la bestia c’è, e così il fuoco che la alimenta: la title track e Come Back Jim risultano essere i capolavori del mini album. In particolar modo Death Party , lungo delirio e rituale perverso, demoniaco, sfrenato e selvaggio di morte.

The Las Vegas Story (1984) è anch’esso certamente un bell’album, non al livello delle produzioni precedenti, almeno per chi scrive.

La struttura delle canzoni è certamente più regolare, e a prevalere è sempre più un clima di oppressione, di angoscia e maledizione. I capolavori non mancano, Walkin' With the Beast , The Starnger in Our Town , Bad America , Moonlight Movie e Give Up the Sun   sono delle autentiche confessioni di disperata solitudine, di alienazione, di vuoto esistenziale ma anche, elemento più o meno costante nella carriera e nel personaggio di Pierce, composizioni dove vengono fuori elementi  misteriosi, sinistri presagi e oscure maledizioni.

Dopo questa serie di album Pierce registra i suoi lavori solisti, Wildweed (1985) E l’EP Flamingo (1986), buoni lavori, dove però appare chiaro che Jeffrey Lee sta soccombendo dinnanzi a se stesso.

Il prossimo album a nome Gun Club è Mother Juno (1987), ancora un ottimo esempio di reinterpretazione moderna del blues, con la lenta Yellow Eyes , e l’infuocata Thunderhead, nella quale si intravede ancora una certa carica e  forza, comunque sempre disperata. Autentica e pura disperazione presente in Hearts, uno dei capolavori del disco dove Pierce mette in scena tutta la sua disperata rabbia e solitudine, come se fosse un animale in gabbia.

I successivi album dei Gun Club, Pastoral Hide and Seek (1990), Divinity (EP, 1991) e  Lucky Jim (1993)  vengono spesso snobbati dalla maggior parte della critica e, in fondo, non completamente a torto.

Purtroppo Pierce, debilitato da vari problemi di salute e da vari anni di eccessi con droga e alcol, si perde dentro se stesso, sconfitto dai suoi fantasmi.

Per quanto riguarda la musica, gli ultimi album citati sono composti da canzoni rock–blues di buona fattura, e talvolta anche di ottimo livello qualitativo come, ad esempio Idiot Waltz , Anger Blues   o la stessa Lucky Jim tratte dall’album omonimo, o I Hear Your Heart Singing, Flowing ,  da Pastoral Hide and Seek. Ma ormai il fuoco era, almeno in quegli anni della vita di Pierce, spento. L’umore di queste ultime produzioni è infatti improntato ad una sorta di condizione di rassegnazione e di malessere pressoché totale, che non è possibile allontanare in nessun modo, come se si trattasse, per l’appunto, di un maleficio.

A parte le ultimissime produzioni, in questo contesto va comunque precisato come l’approccio dei Gun Club ai generi che costituiscono, di fatto, la tradizione musicale americana, non sia certamente di tipo tradizionale. I Gun Club suonano differenti rispetto ai Rolling Stones o ai Led Zeppelin, ed in generale ai più grandi interpreti del blues nell’ambito del rock tradizionale. E proprio qui sta il punto. I Gun Club non appartengono alla categoria del rock classico e tradizionale, ma piuttosto ad un contesto di tipo alternativo con una ripresa, netta ed evidente, dei generi tradizionali e, tratto peculiare, il loro percorso musicale traccia, in maniera indimenticabile e forse con il suo più alto picco, un vero e proprio parallelo tra elementi di ritualità, giungla metropolitana e tribalità primitiva.

Molto probabilmente, gli ultimi veri capolavori scritti da Jeffrey Lee compaiono in un suo album solista di cover blues a titolo Ramblin' Jeffrey Lee & Cypress Grove With Willie Love (1992). I brani in questione, gli unici originali, Go Tell the Mountain e Stranger in my Heart T, sono due oscuri e maledetti brani blues che testimoniano la sensibilità e la grandezza artistica di un personaggio che certamente, nella sua vita, avrebbe meritato di più.

Jeffrey Lee Pierce morì nel causa di un’emorragia cerebrale.

C Commenti

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gigolohunt alle 18:43 del 25 dicembre 2008 ha scritto:

hello

it's right you John Waine?

And Then.Who am i?