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R Recensione

8/10

Algiers

Algiers

"Non è che mi aspettassi che la vita fosse tutta rose e fiori, e che sarei cresciuto sudando perle e scoreggiando bocciuoli di pesca, e neanche mi aspettavo di vivere un milione di anni e di ricevere un'infinità di lettere di stelline di Hollywood dalle lunghe gambe e affamate di sesso, che non vedevano l'ora di violentare il mio corpo e di abbronzarmi l'uccello. Ma, d'altra parte, mi aspettavo qualcosa di meglio di questa roba". (Joe R. Lansdale - "La Notte del Drive-in")

La Storia vista dagli Stati Uniti del Sud è fatta di polvere e preghiere, di violenza e speranza, di spiritualità e dolore, di sopraffazione e rivolta. Il blues, il gospel e l'antenato del jazz (lo spiritual) nascono dalla necessità di raccontare questi contrasti, dalla volontà di proporre il cambiamento (tema portante anche di certa musica soul) e dal proposito di tramandare le dinamiche di una delle integrazioni culturali più difficili e controverse della storia dell'uomo.

Gli Algiers arrivano dalla Georgia, e precisamente da Atlanta, una città che dopo essere stata rasa al suolo dalla Guerra di Secessione vide nascere Martin Luther King e Rosa Parks, ma anche Spike Lee e Kanye West. In questo "teatro dello scontro" e avvenuto l'incontro tra l'afroamericano Franklin James Fisher e i "bianchi caucasici" Ryan Mahan e Lee Tesche. Basterebbe guardarli tutti e tre per capire cosa aspettarsi da questo album d'esordio: Mahan e Tesche indossano giubbotti di pelle su camice bianche, e pettinano i loro capelli lisci come se dovessero andare ad un concerto dei Joy DivisionFisher preferisce (l'allitterazione è casuale) cappotti in lana ed ostenta uno sguardo consapevolmente incazzato come se gli anni '70 non fossero mai finiti e le Pantere Nere fossero ancora a caccia di "terra, pane, abitazioni, istruzione, vestiti, giustizia e pace". 

La musica degli Algiers dimostra quanto l'incontro tra le tradizioni possa essere il terreno fertile della novità e della creatività. Nonostante tutti e tre siano pienamente "americani", è il retroterra culturale (principalmente rock quello di Mahan e Tesche, gospel quello di Fisher) a emergere con prepotenza in queste tracce accomunate da una visione di lotta, di rivolta e di consapevolezza sociale. La base compositiva di Fishesembra essere quella dei campi di lavoro, degli spirituals, del gospel e del blues. Solo che i campi di cotone sono stati sostituiti dalle fabbriche, e la schiavitù nel 2015 ha cambiato nome in intolleranza e diseguaglianza sociale. Parallelamente la forma di protesta primigenia degli spirituals scende in strada e diventa guerriglia urbana, supportata dal post-punk delle chitarre di Tesche e dal basso ossessivo di Mahan.

Così, se "Remains" è ancora una specie di "Be my Husband" suonata in un capannone abbandonato, già con "Claudette" il ritmo accelera così tanto da sembrare una versione dei Suicide con Willis Earl Beal al microfono (a proposito di strada). Sullo sfondo, qui come in tutto il disco, l'uso di contrappunti vocali gospel nerissimi che contribuiscono all'ambientazione gotica e alle numerose sensazioni mistico-religiose. "And when you fall" recupera la poesia urbana di Gil Scott-Heron e la risputa dai bassifondi grazie all'interpretazione vocale di Fisher (degna, per dire, di uno Screaming Jay Hawkins) e al lavoro incessante del basso di Ryan Mahan. E se è vero che spesso l'apporto ritmico (curato a turno da uno dei tre componenti, anche se per il tour hanno già cooptato quel motorino di Matt Tong dei Bloc Party) è decisamente scarno, bisogna rimarcare come sia proprio questa essenzialità a definire la tensione che pervade pezzi come "Blood", ambientazioni da "Cape Fear" ("Iron.Utility.Pretext." spaventerà Trent Reznor), narrazioni sudiste degne di Cormac McCarthy ("Games", dolcissima ma così "sinistra"), preghiere furiose alla Birthday Party ("In Parallax"), blues rissosi alla Gun Club ("Old Girl") o tentazioni hip-hop estreme (in "But She Was Not Fying" c'è tutto: il punk, Saul Williams, gli Shabazz Palaces). E quasi alla fine arriva "Black Enuch" che fa ancora di più, scaraventando la religiosità gospel contro il muro del Pop Group, e rimarcando definitivamente il senso di pericolosità di questa musica. 

Come una minaccia sussurrata durante la Messa domenicale, con il rosario nella mano sinistra e una pistola carica in quella destra. Southern Gothic Masterpiece.

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Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 11 voti.
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fgodzilla 7,5/10
ciccio 8/10
B-B-B 8/10

C Commenti

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fgodzilla (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:00 del 30 luglio 2015 ha scritto:

la rece e' da 9 il disco graffia e ribolle come se il vinile si fosse fuso

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 9:49 del 7 agosto 2015 ha scritto:

Lavoro denso e corposo. Un po' Birthday Party, un po' gospel sinistro, un po' Reznor, un po' tutte le cose che Fabio meravigliosamente cita. Southern Rock tirato a lucido e proiettato nel futuro: insomma, tanta roba.

InserisciNomeQui (ha votato 9 questo disco) alle 22:00 del 2 gennaio 2016 ha scritto:

Non so voi, ma per me questo è uno dei migliori album dell'intero 2015 (affianco al magnifico debutto di Kamasi Washington). Da ascoltare assolutamente!

REBBY alle 12:04 del 27 maggio 2016 ha scritto:

Spiritual wave; anche se i riferimenti musicali erano tutti presenti a cavallo tra 70 ed 80 non ricordo di aver ascoltato una simile combinazione. Proposta davvero affascinante.