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R Recensione

7,5/10

La Piramide di Sangue

Sette

Non riesco a prendere sul serio come vorrei un settetto che intitola il proprio secondo disco “Sette”. Lo si capisce (anche) da questi dettagli: fossero stati una big band, La Piramide Di Sangue, lo avrebbero chiamato “Grande Banda”, mi ci gioco quanto di più caro ed esoterico calpesti nel mio nome la terra bisognosa di epidemie presagita da Svevo. Come il pifferaio di Hamelin, ed Orfeo prima di lui, Stefano Isaia – lo stesso, continuiamo a sottolinearlo, dei Movie Star Junkies – blandisce le bestie feroci al solo suono del suo clarinetto, direttore di un’orchestra che vagola e mugola tra brandelli di Jodorowsky, lampi di Makavejev, koljade e acidissimi adhān. Eppure nessuno ha paura, in meno ancora riveriscono: è un misticismo grottescamente sacralizzato (e per questo intelligentemente disinnescato) e perpetrato attraverso schemi musicali di impatto ed efficacia assoluti.

Come danzare sugli stereotipi ed uscirne trionfatori: calligrafi di tutto il mondo, prendete appunti. Rispetto all’esordio “Tebe”, di un paio d’anni fa, vi sono delle innovazioni sostanziali, che coinvolgono soprattutto il ruolo ed il peso delle chitarre. Se “Baciati Dall’Acido” deteriora le pennellate trascendenti di John McLaughlin con sottili erosioni fuzz, sopravanzando gradatamente l’ipnotico tema centrale per clarinetto solo, è “Jetem” la prima freccia scoccata con violenza tangibile ed intelligente: un muro elettrico saturo e compatto pervaso da arabeschi Barbez, in un jazz rock dinamico ed urticante risospinto da potenti urti frontali. Vietato perdere la concentrazione. Il ribaltamento di fronte è immediato e definitivo: “Aperti Alle Sette” (che ci sia dell’ironico metatesto di mezzo?) è world music suonata con il ghigno sulle labbra e gli Acid Mothers Temple a supervisionare la scenografia. “Reggio Galassia” violenta la Ringkomposition con piglio da muezzin, sull’ara di marmo del garage psichedelico: notevole, anche se forse un po’ ripetitiva. Dove “Non È Mia È Di Dio” fa sfilare un kolo frustato da piatti doom e riflussi gastroesofagei, con effetto comico e maestoso ad un tempo, “La Guerra Non Finirà” (da abbinare rigorosamente a “Venga La Guerra” dei Ronin: repetita iuvant) sceglie di tripartire a sandwich la sua importante durata, schiacciando nel mezzo di un misterico cerimoniale balkandelico una nitida, saltabeccante sezione prog.

Non riesco a prendere sul serio come vorrei La Piramide Di Sangue. Qualcosa, però, mi dice che dovrei…

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