LVTVM
Adam
Una frazione di secondo sarà il tempo necessario, a chi non disdegna le generalizzazioni, per bollare i LVTVM come sottoprodotto provinciale dei MoRkObOt (come se Lodi, ops, Lodi fosse caput mundi ) e Adam la creatura prima nei cui cromosomi si specchiano parimenti indiscutibile talento e imperdonabile hybris. Tutta colpa della formazione, dove i due bassi di Carlo Bellucci e Isacco Bellini soppiantano egregiamente i personalismi chitarristici di troppa musica estrema (ma vè anche un synth, ottimamente suonato da Mike Marchionni, che svolge a più riprese un ruolo essenziale). Ora, volete sorridere? Un brano chiamato Hybris è realmente presente nella scaletta del disco, alla settima posizione: si tratta di unonesta cavalcata post metal (tra le altre, per atmosfera e materialità, ne trovate di simili, anche se stirate allennesima potenza, nellacclamato esordio degli olandesi Izah, Sistere) alla quale, solo negli ultimi istanti di vita, spuntano da sotto le pedaliere delle inconsuete propaggini space. Il che ha senso, visto che, a seguire la didascalia romanzata che il quartetto toscano impiega per sviscerare la polpa del proprio concept, si tratta dellattimo in cui luomo, peccando di tracotanza (da qui, naturalmente, il titolo), ardisce abbandonare la propria animalità per trascendere al divino.
Se nellantro della spelonca abitata dai LVTVM confluiscono rivoli svariati e molteplici leterogeneità di spunti ed influenze che permette, ad un brano estremamente composito come Twalking, di abbandonare ben presto strasentite nicchie Supernatural Cat per ricercare ombreggiature dark wave in flanger prima, slap arabeggianti à la Primus poi (scelta, questa, un po troppo sopra le righe) , la pietra della caverna rimane immutabile ad ogni azione esterna perturbante. Sia che, in Session I, i toni si colorino di sci-fi, sia che Internal Disease scelga di semplificare lapparato dei riff in direzione stoner, o che le tempeste soniche degli Explosions In The Sky si ritaglino il proprio spazio nella contemplazione armonica di Gnosis (la conoscenza metafisica, kubrickiana, dalla corporeità alla cosmogonia), il quartetto si muove in zone prive di ambiguità, di coni dombra. Il fondo, strumentale, si stabilizza su tradizionali frequenze post-core, cui lattribuzione o la sottrazione di dettagli determinano sfumature dopposta polarità. Non potremmo essere, naturalmente, più lontani dai MoRkObOt, non fosse altro per la stratificazione in fase di arrangiamento dei LVTVM che a Lin, Lan e Lon (interessati ad altre questioni: scansioni, impatto, reiterazione) manca completamente. La conclusiva Nemesis, ad esempio, è una stonata chiosa horror (organetto fulciano, affondi plumbei) che riporta alla mente alcuni frangenti del notevolissimo first act dei catanesi Aetnea: tuttaltra cosa rispetto alle sofisticate, struggenti ragnatele jazz intessute nelle melodie matematiche di Fthonos Theon (un episodio che si lascia ricordare ed ascoltare a lungo) o ai respiri cripto-fusion di The Dreamer (rintocchi, seppur vaghi, degli Scale The Summit).
Ci si intenda: non è un disco perfetto. Allinappuntabilità del crinale tecnico si oppongono, spesso, diverse incertezze nel suo manifestarsi. Non sempre la forma si adatta al contenuto: tipiche fragilità di chi cerca il grande balzo in avanti già al primo gattonare. Ne risentono lascolto e, soprattutto, la sua longevità. Ce ne dispiace: di dischi come Adam, lunderground italiano avrebbe disperato bisogno.
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