Bombino
Nomad
Lo so. Dovrei scrivere qualcosa tipo ci hanno rubato anche Bombino, oppure maledetto Dan Auerbach che ha rovinato una delle sorprese musicali più belle del decennio.
Però: 1) Poteva andare peggio: poteva incontrare Damon Albarn, ad esempio. 2) Le canzoni non sono nuove ma sono ripescate da Guitar from Agadez vol 2 (uscito a nome Group Bombino nel 2009) e da Agamgam (registrato dal vivo a nome Omara Moctar aka Bambino nel 2004). Dan Auerbach non ha partecipato alla stesura dei brani, insomma. 3) Se la bistecca è buona, la cottura è secondaria.
Giustificazioni da fan sfegatato che dopo aver ascoltato la splendida, sublime Amidinine trasformarsi da semplice preghiera desertica qual'era in un ammasso deforme di chitarre distorte in puro stile Black Keys voleva prendere un volo per Nashville e dare fuoco allo studio di registrazione di Auerbach. E dire che i Black Keys mi piacciono anche, ma Bombino non è i Black Keys. E non voglio neanche sentire la solita puttanata che il blues è blues dappertutto e che dentro il blues c'è tutto (copyright Luciano Ligabue). Bombino è blues, questo sicuramente, ma è blues primordiale, è semplicità compositiva arricchita solo dal suo personale stile chitarristico (Jimi Hendrix meets Mark Knopfler?), è tre minuti di purezza (Ahulakamine Hulan) e non quattro minuti di casino (Azamane Tiliade in confronto all'originale è una schifezza).
Dettagli, perchè il disco è godibile anche nei momenti in cui Auerbach usa la mano pesante (organi, farfise, pedal steel...), perchè a volte l'incontro tra Niger e Mississippi funziona (Imuhar, ma dov'è l'handclap?), perchè certi pezzi sono talmente belli che neanche Damon Albarn riuscirebbe a rovinarli (Her Tenere, Zigzan), perchè la maestria della sei corde di questo ragazzo emerge anche dalla coltre di arrangiamenti inutili (Aman) e perchè onestamente è bello sapere che le iniezioni elettriche di cui è cosparso il disco consentiranno a Bombino di sfondare definitivamente nel panorama internazionale, andando ad affiancarsi ai Tinariwen nel ruolo di star internazionale della musica del deserto. E' questo che gli auguriamo: un successo sfacciato, strameritato e ottenuto con onestà, classe e un pugno di canzoni comunque meravigliose. A presto, Omara.
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