V Video

R Recensione

7,5/10

Bombino

Azel

Non stavamo esagerando quando, esattamente cinque anni fa, dicevamo che questo "bambino" sarebbe diventato il più grande di tutti. Da quel momento, infatti, Oumara Moctar non si è più fermato: ha portato "Agadez" in Europa, è sbarcato in America e ha conquistato Dan Auerbach e i suoi discepoli blues con "Nomad" ed infine è ripartito in giro per il mondo diventando il "musicista nomade" più amato di sempre, superando a destra i padri Tinariwen e a sinistra i pregiudizi verso la musica pop (citofonare Jovanotti).

Uno come Bombino, che non si è lasciato impressionare dalle mitragliatrici nel deserto, di sicuro non ha intenzione di fermarsi ora. E allora il suo terzo disco lo registra addirittura a Woodstock, un posto in cui si respirano ancora le note blues di Jimi Hendrix e il tocco latino di Carlos Santana, e lo fa produrre da Mr Dirty Projectors Dave Longstreth, un produttore moderno (ha lavorato per FKA Twigs, per dire) ma anche un chitarrista anomalo, che ha spesso dimostrato di lasciarsi ispirare dai fraseggi soukous e dal blues del deserto. E lo stesso Bombino dimostra di avere sempre ben presenti le sue radici, perchè il suo "Azel" (che è il nome di un piccolo villaggio del Niger ma anche una parola che in lingua Tamashek significa proprio "ancoraggio" e "nascita") contiene alcuni elementi tipici del "ritorno alle origini", a partire dall'approccio ritmico basato sul "colpo doppio" delle percussioni e sull'handclapping, e da alcune soluzioni acustiche che rimandano ai tempi di "Agamgam". Per la prima volta Bombino entra in studio con la sua band, ovvero quella che lo ha accompagnato dal vivo per mesi tra Europa e Stati Uniti, e questo permette alla scrittura musicale di Oumara di muoversi con sicurezza lungo il doppio binario elettrico e acustico che è lo stesso utilizzato nelle esibizioni dal vivo, ormai divise in due parti: la prima acustica con i musicisti seduti e rilassati, e la seconda elettrica, vibrante, ritmica.

Anche la produzione di Longstreth sembra più a fuoco di quella di Auerbach, vuoi perché non aggiunge suoni e non corrompe lo stile tradizionale di Bombino, vuoi perché le affinità chitarristiche lo spingono a lasciare campo libero al suono della sei corde, caratteristica principale della musica di questo Hendrix d'Africa. Il primo singolo, intitolato "Inar", racchiude in quattro minuti tutte queste sensazioni: la trama acustica, la libertà totale della chitarra e il ritmo puro e "tradizionale". Subito dopo c'è la componente elettrica, rappresentata dal rock desertico di "Tamiditine Tarhanam", e poi la novità introdotta un po' a sorpresa nell'ormai consolidato stile di Bombino: il reggae. Ci sono infatti elementi in levare e la tipica gioiosa malinconia dei Caraibi sia in "Timtar" che in "Iwaranagh", inseriti nel modo più naturale possibile tra le consuete polveri blues ("Iyat Ninhay/Jaguar"), la tradizione folk ("Timidiwa") e un numero folle di note, tutte al posto giusto in un disco completo, coerente e ancora una volta di grande qualità musicale. Noi, esattamente come in quel vecchio video di cinque anni fa, lo accogliamo con entusiasmo gridando: "Bombinoooo!!"

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Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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motek 5,5/10

C Commenti

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Paolo Nuzzi alle 9:44 del 20 aprile 2016 ha scritto:

Da ascoltare immediatamente. Ormai Bombino è una garanzia di qualità eccelsa. Ripasserò. Bravissimo Fabio al solito

fabfabfab, autore, alle 10:58 del 20 aprile 2016 ha scritto:

Grazie Paolo!

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 10:01 del 23 aprile 2016 ha scritto:

Bella recensione che sottoscrivo in toto: un lavoro che scorre come l'acqua in un ruscello. Godibile, "leggero" nel migliore dei sensi possibili, curato in fase di scrittura e di arrangiamento (condivido i rimandi reggae, oltre che "blues" desertici).

Franz Bungaro (ha votato 7,5 questo disco) alle 11:49 del 29 aprile 2016 ha scritto:

"la produzione di Longstreth sembra più a fuoco di quella di Auerbach, vuoi perché non aggiunge suoni e non corrompe lo stile tradizionale di Bombino" - Per me Nomad rimane il lavoro più bello, proprio perchè il suono tradizionale desertico si sposa magnificamente con la tradizione occidentale, dando vita a quel mix esplosivo che me l'ha fatto conoscere e amare. In questo terzo episodio, comunque fantastico, c'è un romantico ritorno alle origini, con naturalezza. Così come naturale era stata la svolta a occidente. Insomma, come la fa la fa, la fa bene.