V Video

R Recensione

7/10

Vintage Violence

Senza Paura Delle Rovine

Non si uscirà vivi dagli anni ’90 ma io, che all’inizio di quel decennio ci sono nato, tendo a rifuggere sprezzantemente chi ancora si fa inghiottire passivamente in tal modo. Come se Kurt Cobain si fosse sparato non una ma trecento volte, e su trecento tempie diverse: come se gli Afterhours avessero scritto “Hai Paura Del Buio?” ieri, o non l’avessero scritto mai; come se oltre l’America nulla. Dando per scontato che il rock italiano è un’astrazione priva di senso e che i Fluxus sono morti e sepolti da chissà quanto tempo – gli hanno pure dedicato una compilation celebrativa post mortem, fate un po’ i vostri conti –, ogni volta che il mio orecchio capta di un nuovo gruppo-con-le-chitarre con i titoli in lingua madre (l’articolo determinativo, capite, è quello che frega) inevitabilmente al naso sale una puzza sinestetica, di brodaglia (post-)grunge a.k.a. noise rock a.k.a. sempre i soliti nomi che, gira e rigira, hanno forgiato classi e sottoclassi di imitatori, epigoni, lecchini. Saranno sicuramente pregiudizi, ne convengo: il mio Gorbačëv interno, però, deve ancora trovare il suo attore repubblicano con l’hobby del maneggio-destreggio miliardario che lo convinca a tear down this wall.

Per farla breve, un’occhiata sbilenca a copertina e titoli era già bastata a gravare mortalmente “Senza Paura Delle Rovine”, comeback discografico dei lecchesi Vintage Violence, di lacci e laccioli mentali difficilissimi a sbrogliarsi: e tale sarebbe stata la recensione, se di critica musicale vivessi e fossi così obbligato ad ottimizzare i tempi. Invece. “Primo Ostacolo” sembra parodiare il Pierpaolo Capovilla di “Vita Mia”, con una sezione ritmica chirurgica e scudisciate chitarristiche menate in controtempo, un dada-punk tirato a lucido dai chorus ariosi. “Metereopatia” si serve del grimaldello della rima baciata per creare un ibrido testuale straniante, un mostro naïf esattamente all’incrocio tra gli Zen Circus di “Andate Tutti Affanculo”, il primissimo Vasco Brondi, il compianto Freak Antoni e, in lontananza, il surrealismo corrosivo del Ferretti versione “Valium Tavor Serenase”: per quanto infantile e bambinesco, è liberatorio – e meno scontato di quel che sembra – urlare versi come “Manderemo gli italiani a fare in culo da domani / A sopravvivere il lunedì sera, agli olocausti nucleari / Sposteremo il Vaticano sulla bocca di un vulcano / Per far l’amore in un posto nuovo, che sia l’opposto di Milano / E se nasceranno figli sarà per non istruirli mai più”. Rischiate di risentire i Punkreas in lontananza? La lingua biforcuta riemerge anche nel robustissimo power rock di “Abbronzarsi Il Culo” (memorizzate: “Fare musica in Italia è come abbronzarsi il culo / se ne accorgono solo in pochi se non lo dai via”), che da sola scomoda in un colpo solo gli Weezer del “Blue Album” e certi Minutemen “gentili”. Il paragone, che sembrerà improprio per qualcuno, si impone altresì in tutta la sua solidità in “Il Mare”, frecciata strumentale sulla quale sciaborda, omaggiato, il riff di “The Struggle”.

Ospiti importanti (il sax discreto, ma inconfondibile, di Enrico Gabrielli ne “I Funerali”, ad impreziosire un arrangiamento minimale), tiro indiscutibile (“Capiscimi” riesuma i Meganoidi di “Nazigoliarda”), irriverenza sboccata sino alla gratuità comunicativa (cosa si nasconde sotto il beep di “S.I.A.E.”?) e demenzialità serpeggiante (“I Non Frequentanti”). “Senza Paura Delle Rovine” sembra cedere solo in due momenti, fra le stringhe new wave di una title track tagliata grandeur da stadio e sulle ingenuità melodiche di “Vivere In Un Bilocale”. Per il resto i Vintage Violence sbrigano il lavoro sporco con onestà, senza sbavature e in men che non si dica. Più ampia gradazione di sfumature nel rifferama avrebbe garantito un voto anche maggiore.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.