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R Recensione

7/10

Alexander Tucker

Don't Look Away

"Don't Look Away" segna il ritorno di Alexander Tucker (ovviamente su Thrill Jockey) e non solo ne conferma il talento già riconosciuto sin dall'esperienza con i Grumbling Fur e poi nelle sue successive pubblicazioni come solista (le collaborazioni con Daniel O'Sullivan, Charlemagne Palestine, Stephen O'Malley...), ma lo consegna in qualche maniera a un livello superiore. costringendo letteralmente l'ascoltatore ad applaudirne tanto le capacità tecniche quanto quelle compositive. Un artista poliedrico, impegnato nel corso degli ultimi anni in così tanti progetti di diverso tipo e non legati solo strettamente alla musica (è un editor nel mondo dei fumetti), si è concesso del tempo prima di ritornare in studio dopo il grande successo di "Third Mouth" e pure le sessioni di registrazione, a Londra presso i Dream Lion Studios di Daniel O'Sullivan, si sono protratte per lungo tempo e sono poi terminate mentre Tucker intanto assumeva pure il ruolo di compositore per la Schauspielhaus di Zurigo.

L'album chiude idealmente una trilogia cominciata nel 2011 con "Dorwytch", un percorso di crescita graduale e alla fine del quale ritroviamo un musicista nel pieno della maturità e oramai consapevole dei propri mezzi e realizzare un album dai contenuti stilisticamente perfetti e ricchi di suggestioni ambient e dimensioni sacrali, ottenute senza mai ricorrere a arrangiamenti sontuosi, ma con una intelligenza e una sensibilità e tecnica che ne dimostrano le infinite e varie capacità. Facile dalla prima traccia immaginare che il titolo sia in qualche maniera un omaggio alla sensibilità e alla scrittura di Ian Curtis e dei Joy Division: la somiglianza tra "Ojects" e "Atmosphere" è evidente, il giro è lo stesso, ma la resa qui è ovviamente differente in una dimensione da ballads che ha qualche cosa che potrebbe rimandare a alcune esperienze Julian Cope. Un pezzo praticamente pop e di cui possiamo altre somiglianze nelle evocazioni della ballata per piano e con uso particolare dei bassi di "Boys Names". Ma va detto che il resto dell'album ha sicuramente caratteristiche più sperimentali: Tucker si incammina senza timore in sperimentazioni fingerpicking nello stile John Fahey, costruzioni complesse come "Sisters And Me", "The Saddest Summer 2", le dimensioni glaciali di "Ghost On The Ledge" e le vibrazioni estatiche di "A To Z", amplificate dall'uso del vocoder, così come quel senso del sacro rimescolato drone (vedi anche "Gloops Void...") in "ISHUONAWAYISHANAWA", il pezzo più interessante con "Yesterday's Honey" e gli arrangiamenti sofisticati di "Citadel".

Tra John Fahey e Glenn Jones, Jackie-O Motherfucker e Sunn O))), l'inevitabile accostamento a Ben Chasny, con questo disco Alexander Tucker si consacra uno dei compositori contemporanei più interessanti e cui non fa paura nei suoi dischi restare in bilico tra musica "pop" e più sperimentale, anche perché su questo sottile filo ideale dimostra di mantenere il giusto equilibrio e si muove con sicurezza senza barcollare.

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