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R Recensione

7/10

Arbouretum

The Gathering

Sarà meglio chiarire fin da subito che, al di là di questa breve premessa, non ho intenzione di indulgere in contorte disamine sull’attualità o meno della musica degli Arbouretum. Il gruppo di Baltimora suona “vecchio”, punto. Se, dunque, avete problemi con la musica a-rivoluzionaria state lontani dai lavori di Dave Heumann e soci. L’ascolto potrebbe causarvi alopecia, eritema, herpes o quant’altro a livello psicosomatico ci si possa regalare. Se invece no, se amate il folk dei ‘60/’70, se lo stoner dei Kyuss e la pesantezza dei Blue Cheer vi prendono (bene) lo stomaco, se avete un sistema nervoso sensibile alla psichedelia (e ancora non l’avete del tutto bruciato) o al blues sporco e drogato, gli Arbouretum potrebbero, e sottolineo potrebbero, fare per voi.

Non che si facciano notare oggi, gli Arbouretum. The Gathering è, in effetti, la quarta uscita ufficiale della band. Fra questo disco e il precedente Song Of The Pearl passano un cambio nella line-up (dentro il batterista JV Brian Carey e il tastierista/percussionista Matthew Pierce, fuori il secondo - estemporaneo - chitarrista Steve Strohmeier) e il CD-R Sister Ray (jam di oltre 50 minuti basata sul celebre brano dei Velvet Underground) destinato - comprensibilmente - all’esclusiva vendita sui banchetti dei live show.

La sostituzione di una chitarra con le tastiere, paradossalmente, non solo non alleggerisce il sound del gruppo ma, anzi, contribuisce ad irrobustirlo. The Gathering è, abbastanza vistosamente, il disco più pesante che gli Arbouretum abbiano finora pubblicato. Gli ingredienti rimangono essenzialmente gli stessi: un’insieme pre-punk di folk-blues, cantautorato e lunghe semi-improvvisazioni chitarristiche, smaccatamente psichedeliche, portate con semi-controllata ferocia. Qui, però, le atmosfere doom e la pesantezza che permea le composizioni raggiunge vette finora inviolate. Brani quali The White Bird (ottimi soprattutto i solo di chitarra, quasi un riesumazione sulla sei corde di certe derive doorsiane), Waxing Crescent (che nei vuoti offre succulenti appoggi agli attacchi vocali) e la conclusiva Song Of The Nile (maratona psichedelica di dieci minuti, che libera infine la chitarra dalle briglie di una certa spigolosità) definiscono uno stile fermo, tanto fisico quanto mentale, che predilige insistere su riff circolari e ripetitivi, sviando e tornando sui medesimi accordi al presentarsi di ogni nuova battuta. Un basso costantemente in overdrive, arrogante nel colorare - spesso, ma sempre fugacemente - i tessuti armonici, fa da collante e da propulsore all’insieme sonoro.

Meno prepotenti le restanti composizioni: When Delivery Comes (portata dal violoncello di Danny Bensi) strizza l’occhio al cantautorato di Neil Young e Will Oldham; nella bluesy Destroing To Save sembra di sentire Josh Homme cantare con i Free; The Empty Shell fa il verso al punk, introducendosi però con un minuto buono di distorsioni in pentatonica come se gli Oneida suonassero sotto un quintale di polvere. La rilettura di The Highwayman (di Jimmy Webb) è, infine, spettacolare soprattutto nell’inciso vocale.

Ispirato, a conferma di una malcelata colta ispirazione, al “Red Book” di Carl Jung, e solo apparentemente ispido e indelicato, The Gathering nasconde in sé una gran cura per la ricerca sonora ed un’autentica, sincerissima, devozione per le lande musicali da cui origina (per dire, la voce di Waxing Crescent è pesantemente filtrata attraverso un synth ARP d’epoca, regolato manualmente e in tempo reale durante la registrazione). Che poi tutto questo riesca ad arrivare al cuore, allo stomaco o al cervello di uno su cento fra i potenziali ascoltatori non sembrerebbe minimamente essere un problema per i quattro Arbouretum. Figurarsi, dunque, se dovrebbe esserlo per me.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 4 voti.
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varlem 8/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Ivor the engine driver (ha votato 6 questo disco) alle 13:18 del 7 marzo 2011 ha scritto:

mmmhhh, sinceramente dopo Rites of Uncovering sono diventati meno "personali", e visto che l'ambito musicale (in cui sguazzo, per carità) è già di per sè abbastanza retrogrado, se perdi in riconoscibilità non va benissimo. Poi ammetto che se all'inizio la voce evocativa di Heumann mi piaceva molto, ora non riesco + a digerirla. Pirma metà del disco abbastanza anonima, seconda molto bella, Song of the Nile e la ghost track su tutte

varlem (ha votato 8 questo disco) alle 21:52 del 19 novembre 2011 ha scritto:

Sono ultraconservatore. Quarto album quarta perla.

Che siano loro la vera novità del 2011?