Daft Punk
Random Access Memories
Il disco più atteso dell'anno
Sebbene la concorrenza sia di alto livello (David Bowie, My Bloody Valentine), il ritorno più atteso del 2013 è quello dei Daft Punk. Se volete capirne il motivo, sul web troverete le idee più disparate, da i Daft Punk sono tutta un operazione di marketing, a i Daft Punk rivoluzionano il mondo della musica. Di certo è comprensibile l'attesa per un disco che ha subito una lavorazione di otto anni, ed è altrettanto evidente che gli autori di alcuni dei momenti musicali più noti degli ultimi quindici anni abbiano un seguito di fan devoti e affamati. Per questo motivo, di Random Access Memories avrete già letto una serie di opinioni discordanti: un disco reazionario, falso e deludente per alcuni; una rivoluzione per altri. Il dato certo è che non si può definire RAM un disco che cambierà la storia della musica elettronica: innanzitutto perchè la storia si scrive autonomamente, e fare previsioni a lungo termine è materia da chiaroveggenti che non ci riguarda. In secondo luogo, RAM non è un disco di musica elettronica. Lo sarebbe nel 1978, quando usare un sintetizzatore era elettronica, non lo è nel 2013, perchè la musica elettronica ha assunto tante di quelle forme che sarebbe impossibile ricondurle ad un solo futuro. Altrettanto evidente è che non si possa considerare RAM un disco brutto: la valutazione appartiene alla sensibilità e al gusto del singolo, ma il disco è scritto, suonato e prodotto in maniera eccellente. In questo senso è una rivoluzione: niente campionamenti (dimenticatevi il godimento procurato dal recupero delle fonti di Harder Better Faster Stronger o Aerodynamic), tutto il disco è suonato con strumenti fisici, il livello di bpm è molto basso e certi suoni hard di Human After All sono stati definitivamente accantonati.
La sensazione è che il duo parigino abbia voluto produrre l'album definitivo, qualcosa che sta a metà tra un ritorno alle origini (un Homework suonato) e un compendio della loro storia musicale. Tre stadi temporali (passato, presente e futuro, pare tra l'altro che Giorgio by Moroder sia stata registrata usando una serie di microfoni scelti per decade dagli anni '50 in poi) randomizzati all'interno di tre tipologie di brani che costituiscono l'asse di questi settantacinque minuti di storia dei Daft Punk: 1) I Daft punk che fanno i Daft Punk: elettronica spaziale e robot-voice in viaggio verso Interstella 5555 (o Tron: Legacy). 2) I Daft Punk geni del marketing: Pharrell, Casablancas, scampoli pop già pronti per lo spot di turno (se sono riusciti a vendere quella mazzata di Technologic alla Fiat, cosa faranno con Lose Yourself to Dance?) 3) I Daft Funk nostalgici: ancora Pharrell, black music, disco music, italo disco e qualunque suono possa far muovere il culo anche agli elefanti.
Passato
L' operazione nostalgia dei Daft Punk non è certo una novità. Gli anni '70, la disco music, il synth pop anni '80 sono da sempre il loro punto di partenza: Homework era tutto giocato su questo revival implicito, sul suo essere tecnologico dal sapore retrò. In RAM l'omaggio al passato è esplicitato, diventa elemento di costruzione dei brani, matrice di recupero dei suoni (si veda la produzione... chic di Nile Rodgers). Quello che in Homework era fonte di ispirazione e in Discovery diventava campionamento, qui diventa citazione. Non viene ripreso un brano o un suono del passato, ma direttamente l'artista o il suo genere di riferimento.
Give Life Back To Music è il manifesto del suono Daft Punk: tutti gli elementi (chitarre funk, atmosfera galattica, robot-voice, attitudine dancefloor) sono perfettamente bilanciati in uno schema ritmico e melodico che sembra un tributo agli Earth Wind & Fire. L'omaggio agli anni '80 è evidente in Instant Crush, cantata da Julian Casablancas (ma con quei filtri e con quella linea melodica doppiata dal basso avrebbe potuto fare bella figura chiunque): Alan Parson virato indie, a voi decidere se è un incubo o un miracolo. Il tributo più esplicito (e doveroso) è quello rivolto a Giorgio Moroder nella quasi omonima Giorgio by Moroder, un lunghissimo elogio al sintetizzatore come colonna sonora per alcuni estratti di una lunga intervista effettuata dai due musicisti francesi al nostro Giorgione nazionale (Armani, fatti da parte). Ma c'è di più: pause per archi, pianoforti jazz, e una batteria (molto fisica) per un finale devastante. Probabilmente non diventerà una hit planetaria come fu Around The World, ma di sicuro quella doppia linea di synth verrà campionata e remixata per i prossimi vent'anni.
Altro brano Daft Punk al cento per cento è Touch, con evidenti riferimenti al recente passato cinematografico (fiati, pianoforti, archi... sembra di sentire l'Isaac Hayes di Shaft ). Stesso dicasi di Beyond, esaltazione del tocco androide tipico della produzione del duo. Perchè l'omaggio alla musica del passato passa anche attraverso un omaggio alla loro stessa musica, che di passato si è sempre nutrita: nella conclusiva Contact (registrazioni audio dell'Apollo 17, una batteria ancora una volta in evidenza, progressioni mozzafiato) il riferimento ad Aerodynamic e alle sue scale vertiginose è più che una sensazione.
Presente
Chi dice che RAM è un disco commerciale (rimpiangendo i precedenti lavori) o mente sapendo di mentire o non ha mai capito niente. I Daft Punk non sono mai stati una band dance: anche i loro singoli riempipista sono diventati tali solo dopo aver raggiunto la fama: Around The World era passata direttamente dall'underground al primo posto in classifica, One More Time era addirittura un provocazione, con quel break centrale senza ritmo che avrebbe dovuto rendere il brano improponibile in pista.
Get Lucky sfrutta in maniera analoga la via al pop moderno e ottiene un risultato brillante, con buona pace dei detrattori che hanno voluto vedere in Pharrell una scorciatoia per la classifica. Probabilmente si tratta degli stessi che simulavano conati di vomito ascoltando l'autotune di Romanthony (tra l'altro, riposi in pace) ma poi finirono per ballare One More Time anche durante quel break eterno di cui si è parlato. Get lucky è un singolo lineare, veloce, che mostra ancora il debito dei Daft Punk nei confronti della musica nera di fine anni '70, e quelli di Pharrell nei confronti del Michael Jackson dello stesso periodo.
Get Lucky forma un blocco sfonda-classifiche con Lose Yourself to Dance, forse il brano più riuscito di questi nuova versione del dancefloor secondo i Daft Punk: perfetto l'incastro tra la chitarra freak out! di Nile Rodgers e la voce di Pharrell, irresistibili il ritmo e la chiusura a base di C'mon Cmon C'mon e Everybody on the Floor, e c'è anche George Clinton nascosto da qualche parte. In tutto questo non c'è niente di commerciale in senso negativo, non è una semplice strizzata d'occhio al pubblico di Mtv, è un pezzo che riconduce alle radici del pop moderno americano, ovvero al concetto di musica da ballare degli anni '70, e in questo senso merita i complimenti il genio che ha associato il brano ad un vecchio video di Soul Train (della mia personale ossessione per Soul Train dovrei aver già detto tutto l'anno scorso). Appena più debole sembra Fragments of Time, una piuma soft-rock gradevole che per il momento non lascia il segno.
Futuro
Dopo un disco così ambizioso, che è stato concepito e realizzato per essere definitivo, in grado di riassumere e approfondire ogni aspetto della musica dell'artista coinvolto, preconizzare possibili scenari futuri non è facile.
Di certo i Daft Punk si proporrano sempre di più come produttori: Kanye West si è già prenotato, Pharrell starà già preparando l'assegno, e anche Panda Bear (Doin' it right è solo una bozza ma funziona) potrebbe farci un pensierino. E chissà cosa accadrebbe se i due applicassero il loro gusto retro-pop alle nuove leve dell'indie-rock (Yeasayer, MGMT...). Altrettanto probabile e che continuino la loro carriera di realizzatori di colonne sonore: delle aperture orchestrali di Touch si è già detto, ma l'apice vero in tal senso (e uno degli apici di tutto il disco) si raggiunge con la splendida Motherboard: batteria spazzolata in chiave jazz moderna (non siamo molto distanti da certe atmosfere care ai vari Cinematic Orchestra e Jaga Jazzist), chitarre acustiche, archi e suggestioni Morriconiane.
E' più difficile pensare che ripropongano in studio la loro formula (synth pop + funk + italo disco...) dopo averla canonizzata e suonata così lucidamente, ed è altrettando improbabile che perseguano la via funk-pop con la quale hanno lanciato in orbita RAM. Quello che è sicuro è che, nel suo essere disomogeneo e fin troppo fedele alle sue intenzioni programmatiche, RAM non solo è già un classico della produzione del duo, ma lascia aperta la porta a nuove future soluzioni e contaminazioni, magari partendo proprio dal brano più anomalo, quella Within che è una piccola ma deliziosa ballata sintetica per pianoforte (ospite Chilly Gonzales) e autotune. Chissà cosa si inventeranno, per il prossimo attesissimo album.
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