V Video

R Recensione

7/10

Squarepusher

Ufabulum

Le vie del picchiaduro techno-dubstep sono (s)finite. Però non ditelo a Thomas Jenkinson. L’ultimo highlander warptronico su piazza se ne frega, spinge giù la retromarcia revival e frantuma squarci di melodia nelle spacconate concettuali di “Ufabulum”. A Tom piace fare il cavaliere solitario rinchiuso nella sua torre d’avorio di sintetizzatori Roland SH-101, hardware Eventide, bassi fretless, eccetera, eccetera, ma in realtà –attention, please!- è tutta una posa, una patacca. Il gallese annusa sangue giovane, ne sente l’odore vivo e mostra i canini ai bimbetti affamati di vanagloria pop e remix impacchettati a Lady Gaga o La Roux. Per le scorribande videoludiche di “Ufabulum” ha sviluppato un software Reaktor che trasferisce dentro visuals cyberpsichedelici accordi, progressioni armoniche e gli amati algoritmi -poche chiacchiere: il tizio è un gran sborone nerd egomaniaco- tornando al vecchio caos organizzato dopo prove un po’ fesse, aleatorie, che flirtavano con una sterile jazz-fusion di seconda mano. E adesso se ne va in giro osannato ai Primavera Sound Festival col casco-led-Daft Punk davanti scenografiche pareti-led-arcade, praticamente un ologramma da una versione blockbuster-glitch di Tron. “Ufabulum” fa spallucce alle recenti pugnette di studio e scaraventa cazzotti squadrati + plumbeo vapore synthetico. Sovraccarica accelerazioni cyber-rave addosso muri di tastiere da action anni Ottanta (“Energy Wizard”). Esorcizza nella nebulosa “Red In Blue” spudorato maelstrom John Carpenter di droni dark invasivi e minaccioso ambient virale. Vibra potente e autorevole come Jena Plissken sul ring del Duca Hayes, con il bonus di una produzione mai tanto curata, cuneiforme. Piccola controindicazione al rinnovato fragore ritmico un massimalismo da cattedrale electroacida che qua e là, tra l’excursus tardo Aphex Twin del tastierone videogame a cascate di “Dark Steering” e una “303 Scopem Hard” deragliata in contorsioni LFO, fa rima con un certo manierismo coatto. Dettagli. Capisco il ragazzo, capita anche agli ex pluricampioni teutonici di F1, è quell’insanabile voglia di tornarsene in pista e tirare mazzate ai ventenni boriosi che credono di avere il mondo in tasca alla prima pole. Peccato che il tempo è una puttana che non puoi addomesticare, Tom. Provo a immaginare la scenetta mentre un ghigno paraculo mi si stampa in faccia più veloce del bpm pulsante di “4001” (ovvero quando s’incontrano liquida accademia IDM e drilloni Uk).

 

 

C’è questo capannone industriale abbandonato nell’hinterland londinese, una sedia di legno nella sporcizia di polvere e detriti e presse metallurgiche. Entrano di santissima fretta due loschi figuri e fanno sedere un povero cristo incappucciato. I due di nero vestiti li riconosco: uno è il famigerato beccamorto emo-drop Usa Skrillex, l’altro il prezzemolino english Blake. L’ostaggio ha cuffie Beyerdynamic gigantesche sulla testa e viene costantemente bombardato a botte di fidget house nei padiglioni auricolari. Poveretto. In un sussulto d’orgoglio drum and bass riuscirà a liberarsi le mani, prendere una lastra metallica a terra e percuotere con inusitata foga industrial gli strombazzati corpi dubstep dei sequestratori in fuga. Poi toglie il cappuccio e no, non è Obodo che rifà il miglior Bruce Willis ma l’ex superhero Squarepusher. Un sofista del Peloponneso, o al peggio Marzullo, potrebbe chiedersi il senso di cotanta sgangherata metafora. Perciò riavvolgo brevemente la bobina (sono un cultore dell’analogico) e sintetizzo. Tom Jenkinson alias Squarepusher va dritto per i quaranta, ha tagliato pure la barbetta, e ci sta che giochi alla battaglia navale sullo stesso terreno dei nuovi ragazzacci acid-dubstep. Ergo lui è sempre lo stesso duro e puro del do it yourself digitale a cui non serve abusare del viagra marketing discografico, tranne per gli spettacolari gingilli hi-tech dei suoi set dal vivo modello pubblicità Telefunken. Do you remember? “Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci ma noi siamo scienza, non fantascienza“. Squarepusher è entrambe. Al cocco della scuderia Warp interessa eccome stupire occhio e cervello causa evidenti velleità tra concrète musique e Industrial Light & Magic. È un mite maestro jedi talvolta posseduto dal lato oscuro del germe elettronico che se ne sta per i fatti suoi, consegna la cassettina dat in un paio di settimane e aloha agli executive dell’etichetta, richiamate minimo nel 2014 quando spunta fuori il prossimo Skywalker. Dove l’ottavo capitolo dello stroboscopico “Ufabulum” piazza l’artiglieria pesante di “The Metallurgist”, quattro minuti di beat siderali e bombastici che provano a smuovere la lacrimuccia ai nostalgici della lontana “Come On My Selector”, incastrando corrosive marcette di loop Atari (“Unreal Square”) con oscure e acide bordate Autechre tipo “Drax 2”, Jenkinson centra il bersaglio: pur privo di quella parte electroacustica calda, “viva” e contrastata che amava spesso sottolineare in passato parliamo di un efficace riposizionamento del brand che farà felici sia gli adepti di “Go Plastic” e dell’ibrido stilistico “Ultravisitor” che le generazioni ubriacate d’isterismi drill’n’bass. Le macchine, il computer, il freddo battito metallico standard la fanno da padrone, riconfigurano suoni e visioni della matrice Squarepusher in un sovradosaggio di breakbeats massicci, radicali e acuminati. Ribadito l’ineccepibile status quo lo smanettone dell’Essex vuole scuoterti pancia e testa da una prospettiva nuovamente aggressiva. A buon intenditore: non fatelo arrabbiare, non paragonatelo all’ennesima orda di pischelli elettroclash. L’umanoide Jenkinson avrà pure la parvenza di un tecnico dell’Enel prima delle ferie agostane ma se vuole sa ancora colpire duro il tuo sfibrato sistema neurotico. Estatici electroshock in “Ufabulum” veritas.   

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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loson 6,5/10
hiperwlt 6,5/10

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