V Video

R Recensione

8/10

Voices Of Black

Plastic Dolls

Come si deve interpretare un prodotto artistico quando offre una netta discordanza tra intenzioni e risultati? Se presupponiamo la "padronanza totale" da parte dell’ideatore dell'opera, è dunque lo stesso artista che volutamente ci sta depistando, instradandoci verso un illusorio regno di Oz che poi ha disatteso nei fatti?

L'ipotesi è plausibile e si fonda su quello stesso inganno, sottinteso dalla complicità fra ascoltatore e musicista, che spesso regola, tacitamente, le dinamiche di fruizione della popular music. Ma forse la vera risposta è un'altra: un'opera non è altro che un involucro di contenuti atti a molteplici interpretazioni, che il fruitore riempe di significati adattandola a sé stesso. L’ascoltatore ha in realtà un ruolo più attivo di quanto non sembri, e l'arte offre sempre la possibilità di andare oltre l'aspetto prettamente empirico, consentendo ai soggetti coinvolti di raggiungere consapevolezze differenti e "soggettive" (nell'accezione più autorevole del termine).

Prendiamo questo Plastic Dolls, che nasce dalla passione innamorata per una diva della moda: esiste qualcosa di più innocentemente (e falsamente) fanciullesco? Per i due "fashion victim" Babatunde Doherty e Julian Randolph (titolari del progetto Voices Of Black) evidentemente no, e nelle interviste ci tengono a ribadire il candore da pischelli che li ha guidati nel teorizzare e registrare l’album. Pare infatti che l’ispirazione sia nata mentre guardavano ad audio spento un'intervista su una fashion tv alla modella Ana Beatriz Barros, e da lì l'idea di fare un album che le somigliasse, che rispecchiasse la sua bellezza: un album capace di racchiudere, nella sua essenza deep-house, l’innocenza di due ragazzini che sognano ad occhi aperti, inventandosi una wonderland fatta di sfilate, party esclusivi, paillettes sgargianti, "barbie girls" mozzafiato.

Ad una prima lettura, numerosi sono gli elementi che potrebbero indurci a concordare con i due sbarbatelli: i ritratti di Mr. Fingers e Moodyman belli appesi alla parete; campioni vocali navigati in ogni dove (Waiting Outside su tutte); occasionali synth "made in Detroit" (Klossy, Le Fuzze), quando non devoti alla frivolezza french touch (Disco Jackie, degna dei Cassius); bleep e bassi elettronici divenuti ormai residenti abituali delle piste notturne (Downtown Rain e Drinks On Me).

Sembrerebbe tutto molto "fun", sofisticato, in linea con le produzioni Wolf + Lamb già pervenute. Poi però ascolti meglio, assorbi certe persistenze uditive, ed ecco che compare il volto oscuro dell'album, lo sconcerto nel vedere il longilineo corpo deep house infettarsi di concetti come "malattia" e "decadimento": un collasso delle strutture (a volte il mixing va leggermente fuori fase e i campionamenti quasi collidono con le ritmiche, invece di legarsi simbioticamente ad esse) che ha dell'unico, quasi un germe di paranoia electroclash addizionato gradualmente al punch analcolico della festicciola.

E così ogni delicatezza si contende la scena con la sua nemesi. Per ogni Brown Eyed Girl (sample da Your Daddy Loves You dell'ahimé compianto Gil Scott-Heron) che ci ammalia di dolcezza, c’è una Loft Rooftop che ci chiude a doppia mandata in una stanzetta con le pareti imbottite, fra synth tagliuzzati a mò di strisce di coca, maglie sonore sgranate e alienante brusio di fondo. Per ogni genuinità dancey (I Tried To Love) ci sono frammenti come I-95 (Escaping The Fraud) o Greenleaf In The Heart che parlano una lingua decadente, disarticolata, impraticabile. Una dicotomia che la produzione, colma di loop ritmici che vanno e vengono, rende fonte di dis(c)orientamento percettivo: tracce come Models In Elevators o Shade suonano come un updating dei lavori più spacey di Patrick Adams aka "The guru of underground disco".

I Voices Of Black flirtano con un immaginario patinato di cui viene percepita – forse a livello subliminale, stante l'inconsapevolezza (presunta, ovvio) dei due performer – l'artificialità corrotta, quella sfumatura di maligno che incrina un'istantanea altrimenti tutta sorrisi. Pare di trovarsi di fronte alle tele di Rodgers Terry: enormi, iperrealistici affreschi corali di brulicante ed effimera umanità, che nascondono con cartongesso glamour una soffitta di solitudine, malinconia, insoddisfazione (la dark side di quella che, nei lontani '50s, si sarebbe definita "Dolce Vita"). Conflitto fra opposti (innocenza/corruzione, desiderio di contatto/solitudine nella folla, apparente libertà/prigionia in una gabbia dorata) che, come in Plastic Dolls, è evidenziato dai dettagli: le ossa sempre ben visibili, quegli sguardi sempre turbati, le nudità tanto manifeste quanto prive di carica erotica, quelle vene fin troppo evidenti, il senso di eccesso mai esplicitato ma che ti entra sottopelle.

Al pari di quelle immagini, i suoni di questo disco non vogliono saperne di disfarsi di te: ti si depositano sotto le unghie, e tu poco a poco abiti le loro stanze affollate, le loro vite sformate. Mica male per un'opera prima. Promettono grandi cose, questi due twenty something. Alcune delle quali non si realizzeranno mai e sarà bello così, perché vorrà dire che la musica, ancora una volta, l'avrà vinta su chi tenta di impossessarsene. Tiè.

V Voti

Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 6 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
Cas 8/10
target 8/10

C Commenti

Ci sono 14 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 10:52 del 3 giugno 2011 ha scritto:

Splendido disco, la recensione gli fa onore!

Tra l'altro, a parte i riferimenti obbligati alla deep house, mi sono venuti in mente i nostrani Jollymusic per la simile attitudine rétro di depredare e riassemblare reperti sonori di varia provenienza, turbandoli con sfasature, modulazioni, incastri... Detto questo il contesto nel quale operano i Voices of Black è del tutto differente, ok, ma ve lo chiedo lo stesso: sono io che ho avuto un abbaglio o effettivamente ci sono delle somoglianze?

loson, autore, alle 20:45 del 3 giugno 2011 ha scritto:

RE:

Jollymusic stratosferici, incommensurabili, e "Jollybar" miglior disco italiano di sempre. L'accostamento è accattivante, Cas: riferimenti spesso simili (la disco, un certo gusto french touch che ogni tanto fà capolino anche su Plastic Dolls, etc.) e naturalmente la volontà di smembrare il giocattolo per costruirne uno nuovo coi pezzi più disparati, ottenendo le "sfasature" di cui parli. Ci sono, però, sia diversità di stile (lounge e chill out erano come il pane per i Jollymusic, qui non ci stanno) e anche un diverso approccio: mood solare e "bighellonante" per i Jolly (ma non sempre: "Daddy", per dire, è più depressa della depressione stessa), uno strano ingarbuglio di viziosità e disorientamento per i Voices. Forse il minimo comun denominatore è quel non so che di nostalgico...

synth_charmer, autore, alle 11:12 del 3 giugno 2011 ha scritto:

i Jollymusic non li conosco, però sì, lo svago dei Voices of Black è anche quello di pescare dal classico e creare innesti. In un modo per certi versi "incosciente", perché molta materia prima è veramente strasentita. Ma è quella piacevole incoscienza quasi infantile, che sa far apparire genuino anche il gesto più semplice c'è un altro che di questi tempi si va divertendo a incrociare le cose più svariate, e sta raccogliendo successi sempre maggiori in quel di Londra. Si chiama Benji Boko, il suo album sta per uscire, provatelo!

fabfabfab alle 15:39 del 3 giugno 2011 ha scritto:

i Jollymusic non li conosco

male Carlè, male ...

salvatore alle 17:41 del 3 giugno 2011 ha scritto:

Ma perché se io clicco sui nomi dei recensori Matteo e Carlo esce la scheda di Francesco? Non sarà mica una cosa a tre? O forse sono già gli influssi del finalmente-iscritto-illuminato...

synth_charmer, autore, alle 17:57 del 3 giugno 2011 ha scritto:

RE:

è come quel giochino chrome alchemy, se combini aria e energia vien fuori il vento! no siamo in due, ma la rece a tre è un traguardo alla nostra portata me gustano i jolly, mo recupero

target (ha votato 8 questo disco) alle 19:12 del 30 giugno 2011 ha scritto:

Un 'non so che di nostalgico': sarà mica che anche in territori house è arrivata la lezione glo/hypna?? Lo dico a mo' di cazzata ignorante, ma ogni tanto, su qualche assurda interpolazione vip-trash da passerella fatua, il pensiero mi è andato a Pink e dintorni (vd. il finale di "Klossy", ma anche "I tried to love"). Los/Carlo strepitosi e ingiustamente snobbati. Mio electro-disco dell'anno, so far.

synth_charmer, autore, alle 19:30 del 30 giugno 2011 ha scritto:

RE: sarà mica che anche in territori house è arrivata la lezione glo/hypna?

ci credi targ che ne abbiamo discusso un bel po' con los sul glo-side? Entrambi eravamo indecisi sul tirar dentro il glo-fi, alla fine ci è sembrato improprio, però di certo lo sfondo nostyalgico c'è tutto. Solo che è una nostalgia più intima, personale, che non rimanda ad un'epoca stilistica precisa ma ad un'età della propria crescita: quella adolescenziale, della frivolezza in tv, dei primi pruriti, della perdita dell'innocenza... loro sono (in realtà ne recitano solo la parte) gli stessi ragazzetti in cameretta come i protagonisti hypno, ma hanno voluto sporcarsi le mani solleticando un mondo fatto di tentazioni e lussuria. Sgattaiolati via dalla finestra ce li siamo ritrovati nel club si potevano prendere tante strade in questa recensione, ognuna interessante a suo modo

target (ha votato 8 questo disco) alle 21:02 del 30 giugno 2011 ha scritto:

Ci credo, sì, so che avete entrambi l'orecchio hypna ben allenato! Dovevate scriverlo, comunque, se non altro perché mi sarei ascoltato il disco un mese fa! ) Mix emotivo notevole, comunque: nostalgia della prurigine e delle fantasie sul lusso, macchiata però da un certo disgusto paranoico più maturo (e da un sentore di decadenza che fa vedere il mondo della moda e le plastic dolls con occhi ben diversi da un tempo). Non era facile rendere tutta 'sta roba, ma ci sono riusciti alla grande. Piacerebbero alla Sofia Coppola di "Somewehere".

loson, autore, alle 22:15 del 30 giugno 2011 ha scritto:

Sì, Carlo e io abbiamo discusso se considerare pertinente il richiamo al glo-fi, ma alla fine abbiamo ritenuto più interessante percorrere fino in fondo e senza sviamenti il tracciato della dicotomia "innocenza/corruzione" (supportato dalla riflessioncina sui meccanismi di percezione dell'opera da parte del soggetto-ascoltatore, spesso contrastanti - ma prioritari - rispetto a quanto l'artista ha inteso comunicarci). E' un disco che ha davvero molto da offrire, un'opera con cui ci si può rapportare ogni volta in modo diverso. E non smette di crescere, ascolto dopo ascolto. Personalmente, se prima avevo qualche reticenza nel considerarlo proprio proprio un capolavoro, adesso non ho più dubbi. Voto al disco: 8. Voto a Target: 10. Voto a Carlo: 7,9 ma posso arrotondare per eccesso se mi cedi lo scettro di mastro gourmet della penisola (persino Gualtiero Marchesi sa che se vuoi gustare piatti favoLosi è a me che devi rivolgerti... ;D).

synth_charmer, autore, alle 23:00 del 30 giugno 2011 ha scritto:

ormai il los è fuori controllo, dà un voto ad ogni cosa che vede. Lo immagino a girare per strada con matita rossa e taccuino in mano a snocciolare decimali a destra e a manca. Facciamo così: ti faccio assaggiare la mia caponata, e poi deciderai tu chi è il re! e comunque sta tranquillo, c'è posto per tutt'e due in questa terra. Ti lascio l'oltrepò!

loson, autore, alle 10:24 del primo luglio 2011 ha scritto:

Lo immagino a girare per strada con matita rossa e taccuino in mano a snocciolare decimali a destra e a manca.

Voto all'ironia: 5+ (ossia 5,1693575904034876342). E i decimali mi fanno ribrezzo, ricordatelo! (elo...elo...elo...) XD

target (ha votato 8 questo disco) alle 10:42 del primo luglio 2011 ha scritto:

Al predoliniano gioco delle coppie avreste un'affinità bassissima, ma mi piacete così )

loson, autore, alle 10:44 del primo luglio 2011 ha scritto:

Ma su che scherzo, hihihi.