Air
Love 2
“Let’s play it safe” sbraitava Iggy Pop nel brano forse più caustico (“Play It Safe”, appunto) dell’altrimenti fallimentare “Soldier”: un momento da riscoprire, se non altro per la presenza di Bowie e dei Simple Minds, che provano a placar le di lui brame “criminali” facendo a gara a chi canticchia più da queen bitch (indovinate un po’ chi la vince?). Che poi “play it safe” è un’espressione bifronte, contorta: due i significati possibili, nondimeno opposti, a seconda che si enfatizzi il modesto trastullo insito nel “divertirsi con giudizio” (della serie: bada a mammà, stà lontano dall’erba, bevi poco, guida piano, niente sesso prematrimoniale), o che, com’è probabilmente più sensato, si punti l’indice contro chi non è abbastanza temerario da mettersi in gioco (“Life’s too short to play it safe”), rischiare il tutto per tutto. Questa brodaglia per dire che… sì, oggi gli Air “are playing it safe”, vanno sul sicuro. Talmente sul sicuro da sparare cartucce a salve, inoffensive.
Registrato nel loro Atlas Studio a Parigi dai soli Jean-Benoît Dunckel, Nicolas Godin e dal batterista Joey Waronken, “Love 2” suona ragionevolmente timoroso, passé, quasi un polpettone impastato coi rimasugli di “Moon Safari” e “10 000 Hz Legend”. Sicuro, anche “Talkie Walkie” si fondava sul medesimo presupposto, ma lì c’erano almeno due attenuanti. La prima era che il gruppo veniva dall’insuccesso clamoroso di “10 000 Hz Legend”, e doveva quindi ricostruirsi – “riplastificarsi”, dissero i maligni – una credibilità artistica. La seconda concerneva i pezzi: tutti più o meno di buon livello, cesellati con senso della misura, senza mai scadere nel cattivo gusto. “Love 2”, invece, non pare dettato da contingenze negative o pressanti, né vanta numeri degni di rilievo; volgarizza, anzi, l’idea stessa che sta alla base degli Air: quella soave intromissione del “futuro” (tanto Jean Michel-Jarre quanto la meraviglia eurodance Space) in un immaginario altrimenti retrò, electro-lounge propagatosi negli anni a patente di “francesità” da tutta una generazione che spesso di francese ha solo l’erre moscia e il pessimo gusto in fatto di cibo.
Hanno già fatto le loro rivoluzioni, gli Air, e sarebbe presuntuoso – nonché sciocco, oggi come oggi – pretendere da loro svolte epocali. Però qualche sforzo in più potevano farlo, santiddio. Perlomeno continuare sulla strada dell’illuminante “Pocket Symphony” (2007), coltivando gli opposti di una forma-canzone sempre più “canzone”, e di miniature paesaggistiche quasi “post-raveliane” in cui confluiscono delicati esotismi, fascinazioni orientali, un sempre maggior ricorso a live playing. Niente di tutto questo (live playing a parte), in “Love 2”: solo un replica senza mordente, dove il dejà vu (quello “cattivo”, perché sterile) regna sovrano. Riecco quindi Dunckel e Godin giocare ai Pink Floyd più soft e apocalittici (“Do The Joy”), ammiccare alla bossa (“Love”), sfornare una ballata pop sciocchina il giusto come “Sing Sang Sung” (scelta come secondo singolo), ma tutto questo lo fanno nel modo più indolore possibile, quasi non volessero toccarti. Senza contare i momenti realmente irritanti, come gli ormai “telefonati” vocalizzi al vocoder di “Missing The Light Of The Day”, o le tastiere petulanti di “You Can Tell It To Everybody”. Nella romanza da cocktail “Tropical Disease” i risultati sono persino parodistici (e su questo tema ci torneremo su…): buono più per una sequenza “hot” della serie “Love Boat” o “Uccelli di Rovo”, il brano affoga nel suo stesso romanticismo “laccato”, quasi asfissiato dai cinguettii pianistici e da quei soliti accordi a scendere che esalano l’invadente olezzo di un dopobarba a buon mercato. (Queste cose lasciamole fare a un adorabile buzzurro come Sebastien Tellier, per favore.)
Ovviamente, non tutto è da buttare: sui krautismi Neu! abbinati a chitarra twang di “Be A Bee” ci si può fare un pensierino, e pure sulla psichedelica “So Light Is Her Footfall” (bella l’elettrica al wha-wha) o la graffiante, intensamente ritmica “Eat My Beat”. Ancora meglio – e qui siamo al momento quasi perfetto del disco – una “African Velvet” di trilli chitarristici, tessuti finemente arpeggiati, vibes malinconicamente jazzy, una linea di batteria sincopata ma dal retrogusto quasi post-punk. Così affascinante che, in luogo del pur pregevole intarsio di sassofoni, si sarebbe auspicato il soffice planare di una tromba solista, qualcosa capace di rievocare il lirismo asciutto di un Chet Baker o d‘un Art Farmer. Ma così si rischia d’andare troppo indietro negli anni, oibò.
Sembra incredibile, ma di anni, dal mini album “Premiers Symptômes” (1997, splendida testimonianza dei primi passi dell’accoppiata Godin & Dunckel), ne sono già trascorsi dodici. Sono tanti, anche per chi li ha vissuti suonando. Abbastanza da farti meditare su chi sei, sul significato e la valenza di quello che fai. Sorge quindi una domanda: che gli Air abbiano voluto semplicemente ironizzare su se stessi (la copertina in stile romanzo Harmony potrebbe dare adito a questa interpretazione) e sul loro ruolo di musicisti pop intrappolati in questa – confusa e felice – chiusura di decennio? Può darsi, ma allora perché non essere espliciti? Perché limitarsi a suggerire vagamente un simil concetto quando si avrebbe potuto intelaiare una riflessione ben più articolata – e persino più divertente – sull'imbarbarimento dell’icona pop? La qual cosa avrebbe avuto pure senso, data la penuria di personalità “importanti” (per carisma e appariscenza) nell’odierno panorama musicale, e non solo quello “indie-cappato”. Naa, non mi convince. Preferisco credere che questo “Love 2” sia una semplice defaillance momentanea, di quelle che accadono anche ai tombeur provetti, specie quando hanno eccessiva fiducia nei propri mezzi. Di certo non si è trattato di ansia da prestazione, e già questo è un sollievo.
Myspace: http://www.myspace.com/intairnet
Sito Ufifciale: http://en.aircheology.com/
Video: "Sing Sang Sung" - http://www.youtube.com/watch?v=WuSPRu4lzag
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