R Recensione

8/10

Tunng

Good Arrows

Si arricchisce di un nuovo capitolo la bella storia dei Tunng, band inglese che si è ormai ritagliata uno spazio di primo piano nel panorama di quel genere musicale noto come folktronica . Good Arrows, terzo album della discografia del gruppo, giunge a meno di due anni di distanza dal precedente Comments of the Inner Chorus, che li aveva fatti uscire dal sottobosco delle band autoprodotte e proiettati ad un certa popolarità anche al di fuori dei confini inglesi.

Qui, oltre a confermare i buoni fondamentali già messi in mostra nel passato, dove tutto ruota principalmente attorno ad una chitarra acustica, ad un campionatore sapientemente dosato ed ad un coro a due voci, i Tunng sanno però anche essere spensieratamente raffinati e in questi nuovi brani trova sempre più spazio l'uso, non di rado irriverente, di una ricercata gamma di strumenti della tradizione folk (le prime note dell'album sono quelle di un dulcimer a martelletti) accanto agli oggetti più improbabili (le cronache registrano, in alcune esibizioni dal vivo, l'utilizzo di conchiglie e piccoli pezzi di legno). La loro musica, come un vino di una certa caratura, è di quelle da degustare lentamente, a piccoli sorsi, per coglierne appieno tutti i sottili retrogusti e scoprirne le infinite sorprese sapientemente disseminate qua e là.

Un po' di Beta Band e un po' di David Grubbs sono gli elementi che è facile riconoscere. E se in certi momenti più rilassati saltano fuori innegabili assonanze con i Kings of Convenience ( vedi "Hands"), alla fine non ci vuol molto a capire che i nostri sono ben più smaliziati rispetto ai docili norvegesi. Dosando sapientemente il loro humor nero, i Tunng compongono quadretti ermetici che sono piccole anche piccole perle di surrealismo ("We're catching bullets in our teeth. It's hard to do, but they're so sweet" cantano in "Bullets") e arricchiscono le strutture portanti della loro musica con una infinità di suoni, effetti, campionamenti, sempre delicati e mai troppo invadenti, che finiscono per rendere ancora più amabili questi nonsense musicali. Basti citare "Arms" con il suono di un fuocherello scoppiettante in sottofondo e un loop di organetto che fa talora capolino.

Rispetto a Comments of the Inner Chorus vengono sicuramente meno la forza di certe canzoni, con momenti estremamente ispirati allora, più fragili qui in certi passaggi, compensati, come si diceva, da scelte un tantino più sofisticate negli arrangiamenti, seppure col chiaro intento di rendere il suono più armonico e fruibile.

Good Arrows è insomma il prodotto di una band che ha avuto la felice intuizione di capire che la leggerezza, quella esistenziale e quella musicale, sono forse il modo migliore oggi per proporsi al pubblico meno dozzinale. La stessa caustica leggerezza di chi ci ricorda, facendoci quasi sospirare di sollievo, che "… it's okay, because one day we will all be dead".

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 10 voti.

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