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R Recensione

6,5/10

Mark Lanegan

Blues Funeral

Se fossi il cazzuto autista di “Drive” ci sarebbero molte buone ragioni per gustarmi “Blues Funeral” e alzare a palla il volume sulla ormai mitica traccia #6 “Ode To Sad Disco”. La pietra della discordia che farà ruttare avvelenati i talebani del vecchio Mark è una cavalcata electro-pomp degna dei Pet Shop Boys più discogay, con l’aggravante dello spiritualismo “low cost” di Moby, e l’immaginazione corre a un languido e tamarro club privé che ospita un match medio massimi Corona-Bobo Vieri (categoria pesi “suite hotel Principe di Savoia”). Sì, sgasare in quarta sul pomello dopo aver rilasciato la frizione, mentre  il vocione lanegano ti rassicura un po’ piagnone “…Gloria, i get down on my knees…Further from my own, under a cliff darkness denied. Here i have seen the light…”, resta un’esperienza di virile autostima che consiglio: quanto amo Kowalski e l’immaginario videoludico del cowboy metropolitano, gli occhiali fumé con dietro sguardo cyborg e muflone dell’uomo pronto a tutto, è così visceralmente alienato, romantico action urbano alla Walter Hill. Ma il risveglio è brusco, cari miei, e basta poco a scoprire la triste realtà di chi non deve chiedere mai. Lanegan infatti balbetta affettuoso le sue debolezze senili, vuole tornare pischello quando sbirciava il synth-pop foxxiano, lui che ragazzino non era mai stato.

Maledetto giubbotto in tinta metallica e scorpione acchiappa-topa sulla schiena, maledetto il giorno che t’ho desiderato. No Mark, non dovevi farlo, avresti dovuto limitarti a incidere i canini sulla vanità dei seguaci, raschiando cose tipo “The Gravedigger’s Song”, un avanzo QOTSA di ritmo marziale e bassi dark-fuzz (Peter Murphy a Grungelandia? I Joy Division a cena da Leatherface?), dannato te che “per la prima volta ho scritto musica e testi aiutandomi con la drum-machine invece dell’acustica”, cavolo potevi chiamare uno dei tuoi milioni di amici collaborazionisti, che nemmeno una spia di John Le Carré vanta un curriculum tanto trasversale, chiama chessò uno dei Soulsavers, magari ci saremmo risparmiati certe tastierine busone in “Quiver Syndrome”, special-guest il redivivo Jack Irons alle percussioni, un pollo fritto Dandy Warhols pronto a diventare il prossimo highlight su Virgin Radio. E’ il funerale del blues, ok, ma c’è modo e modo amico: la prossima volta le pompe funebri pagale. E poi non ditemi “lui sa rinnovarsi, lui capisce cosa significa fare il nobile cantautore rock nel 2012”, perché se la soluzione sono The Edge che sbrodola nei New Order dell’anemica “Harborview Hospital” (il morbo “All That You Can’t Leave Behind” ha colpito perfino il musone N.1, almeno per l’aviaria c’è il vaccino) e il pop-rocchettino “Gray Goes Black” annacquato in zona Imbruglia, proprio lei non scherzo, allora erano meglio le pose plastiche di “Bubblegum” e le pose fotografiche della bella Isobel.

Lui, la bestia lanegana, i suoi colpi in canna li piazza, sia chiaro. Ma è come alla fine de “Gli Spietati”, Clint accoppa tutti dopo averle prese di santa ragione. Quindi è cosa buona e giusta elencare, con tutto l’amore scribacchino per ciò che ha rappresentato l’orco maudit di Ellensburg, i sei svenevoli minuti che invocano lo spirito dell’onnipotente Muddy Water in “Bleeding Muddy Water” (“…Muddy Water be my grave…You are the master, i’ve been the slave. Muddy Water, come rising up. You know i feel you in my iron lung…”), un sotterraneo post-blues modello “esco a comprare le sigarette e torno quando Barbara B. avrà avuto un figlio anche da El Shaarawy”, il battere e levare sintetico della tenebrosa “St. Louis Elegy”, litania morriconiana in salsa kraut-rock avvolta da acidule folate elettriche, la Motor Ave BelAire di Josh Homme che si diverte a vampirizzare industrial i ZZ Top (“Riot In My House”) e una scarnificata “Deep Black Vanishing Train” di voci fantasmatiche, onirica sospensione e la proverbiale biblicità dell’ugola a ricordarci che stiamo pur sempre discutendo del responsabile di “Riding The Nightingale”. E tuttavia un benevolo pollice su se lo meritano il folk gotico “Leviathan”, con gli interventi corali dei soliti Chris Goss-Greg Dulli, e i loop indietronici che scivolano soffusi su “Phantasmagoria Blues”, fieri rimasugli dei tempi d’oro dell’ex Screaming Trees.

La sorpresona finale arriva da “The Tiny Grain Of Truth”, un buffo sermone techno-dylanesco di sette, stoici minuti coi suoni engagé del Bowie ’97, non esattamente il “nostro” Bowie, tentativo lodevole al pari di Belén Rodriguez che interpreta Santa Caterina da Siena in una fiction statale, e intanto la coltre di synth celebrativi sale, sale, sale, alzando il suo pennacchio sopra l’ottuso muro di beats del compare Alain Johannes. Preferivamo le field songs, Mark. Eri rurale, moderno e pronto all’uso su terreni sconnessi come una Jeep Wrangler sporca di fango, “Blues Funeral” vorrebbe invece somigliare a un’esclusiva Ferrari FF, motore V12, 6.3 litri, 660 cv e quattro posti di morbida pelle Frau. Peccato che al settimo album di cotanta discografia manchi una furba centralina elettronica PTU a gestire con equilibrio la trasmissione integrale, quella che ti regala un eccezionale piacere di guida-barra-ascolto nonostante tu non sia Ryan Gosling.

“…So long light, you’re bound to fall…Now isn’t that a shame casting shadows on the wall, too late to learn another game…”

V Voti

Voto degli utenti: 6,4/10 in media su 15 voti.
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creep 6/10
gull 5/10
Teo 6/10
REBBY 7,5/10

C Commenti

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SamJack (ha votato 7 questo disco) alle 7:35 del 11 febbraio 2012 ha scritto:

Mah, per me è invece un disco più che buono. Considero "Ode to sad disco" uno dei punti massimi di questo lavoro che, in fondo, ci presenta il solito Lanegan di sempre, almeno nel concetto. Poi certo, i tempi ruvidi dei fantasmi sacri sono appassiti...

target alle 11:11 del 11 febbraio 2012 ha scritto:

Ahah, grande Daniele. Per curiosità mi sono ascoltato questa "Ode to sad disco": davvero mooolto Pet Shop Boys (in peggio). Non fa schifo, ma ha almeno tre minuti di troppo. Insomma, si vede che non è il suo. Stupenda, invece, in ambito stravolto rispetto a quelli di sua competenza, la collaborazione con Bomb The Bass e Gui Boratto (due luminari tra house e techno) in "Black River" (titolo molto da funerale blues, peraltro): Ecco, magari, se voleva pisciare fuori dal vaso per bene, poteva farsi aiutare da 'sta gente. Tornerò.

tramblogy alle 11:33 del 11 febbraio 2012 ha scritto:

Copertina in vinile splendida...ma che costi....

ozzy(d) (ha votato 5 questo disco) alle 14:33 del 11 febbraio 2012 ha scritto:

ahahah grande il riferimento al faraone! ho ascoltato distrattamente, il pezzo che ammicca al synth pop ovviamente è vomitevole.

dave alle 8:59 del 14 febbraio 2012 ha scritto:

Ammiro Lanegan. Poteva fare "lo stesso disco" per sempre e invece dopo le varie esperienze di questi anni se ne è uscito con questo album perlomeno "spiazzante". Al di là di "Ode to sad disco" , che resta IL pezzo discutibile, il resto della scaletta lo trovo ottimo... francamente mi dispiace che non che non sia stata inserita nella tracklist "Burning Jacob's Ladder".... vabbè....

gull (ha votato 5 questo disco) alle 13:04 del 15 febbraio 2012 ha scritto:

Ho letto la recensione annuendo tristemente ad ogni rigo. Concordo in pieno, purtroppo. Qualcosina mi piace (ma giusto qualcosina) ma spesso questo disco suona malissimo ai miei orecchi. Maledetta drum-machine.

gull (ha votato 5 questo disco) alle 13:05 del 15 febbraio 2012 ha scritto:

Voglio dire, Mark Lanegan in salsa tamarra me lo sarei risparmiato volentieri.

pirati71 alle 1:33 del 21 febbraio 2012 ha scritto:

Fontani: Il Lester Bangs de noantri!

...quanto amo Kowalski e l’immaginario videoludico del cowboy metropolitano, gli occhiali fumé con dietro sguardo cyborg e muflone dell’uomo pronto a tutto, è così visceralmente alienato, romantico action urbano alla Walter Hill...

... “esco a comprare le sigarette e torno quando Barbara B. avrà avuto un figlio anche da El Shaarawy”...

... “Blues Funeral” vorrebbe invece somigliare a un’esclusiva Ferrari FF, motore V12, 6.3 litri, 660 cv e quattro posti di morbida pelle Frau...

Daniele, sei troppo forte!

Pensa che a me "Ode to sad disco" piace una cifra...

NathanAdler77, autore, alle 20:09 del 13 marzo 2012 ha scritto:

RE: Fontani: Il Lester Bangs de noantri!

Gracias, anche se Lester stroncava MC5 e "Funhouse".

Tra l'altro "Ode To Sad Disco" è ispirata proprio da Refn...La copertina devo averla vista ricamata sul divano vintage di mia zia, intorno al 1987: un deja-vu retromaniaco.

gull (ha votato 5 questo disco) alle 15:41 del 23 febbraio 2012 ha scritto:

Ci ho provato a farmelo piacere, ma niente da fare. Le prime tre canzoni non mi dispiacciono, anzi le trovo riuscitissime. Il resto no, purtroppo.

Lezabeth Scott (ha votato 7 questo disco) alle 19:11 del 11 marzo 2012 ha scritto:

Per me è semore stràfico lui! "Gravedigger's song" è una delle migliori canzoni che ha scritto negli ultimi 5 o 6 anni.

ozzy(d) (ha votato 5 questo disco) alle 19:21 del 11 marzo 2012 ha scritto:

la copertina fa cagare, richiama quelle di power corruption & lies, troppi richiami al synthpop. come direbbe piccinini, non va!

Lezabeth Scott (ha votato 7 questo disco) alle 20:40 del 11 marzo 2012 ha scritto:

La seconda parte del disco è un po' moscetta, in effetti...

REBBY (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:55 del 12 agosto 2013 ha scritto:

Andrebbe sfrondato e portato ad una dimensione vinilica (da singolo album di 35 massimo 40 minuti intendo) e sarebbe un buon disco: sicuramente poterei Riot in my house, per le altre 2 o meglio 3 fate voi, l'importante è che ci siano, oltre alle prime tre, anche Quiver syndrome e Harborview hospital, che dopo Gray goes black sono le mie preferite.

Concordo con Target sul fatto (oltre che su Black river) che Ode to sad disco sia caruccia, ma troppo lunga e penso che c'azzecchi poco col resto dell'album (cantato, sempre splendido, a parte).

Tornerai anche al Fdl di Mn? eheh