James Blake
Overgrown
Essere James Blake vuol dire almeno tre cose, oggi: saper scrivere canzoni, saper cantare canzoni, avere una classe infinita. Partiamo da un'idea semplice, anzi una certezza: "Overgrown", il secondo LP del nostro londinese, è un capolavoro. Il voto l'avrete visto ormai, ma mettetelo pure da parte. Qui si viaggia alti e i numeri restano fuori. Qui le luci si spengono e poi si riaccendono, si consumano lente ed esplodono feroci, brillano come neon e lampeggiano come lucciole nelle autostrade della notte. Questa è musica soul.
L'iniziale "Overgrown" è già il primo miracolo: humming appena accennato come a scaldare le corde e una base elettronica che già si perde sotto la pelle rintocchi bassi, simmetrici, scuri ma non cupi e la voce di Blake che subito si prende la scena con squarci profondi, a navigare tra gli spazi, disperdersi in piccoli echi e cristallizzarsi in versi chiaroscuri. "I Am Sold" non perde un grammo della bellezza della precedente, è il secondo miracolo: intro minimale, piccoli beat che iniziano piano a brillare sullo sfondo e una dimensione ancora più intima prende forma, mentre salgono i giri e i battiti pulsano sanguigni. Qui sta molta della maturità raggiunta da James Blake: la precisione assoluta che ha acquisito nel giostrarsi tra le diverse linee vocali, il modo in cui riesce a dosare gli strati, i livelli che si sovrappongono; mettiamo un attimo da parte l'elettronica il post-dubstep che dicono circoli qui, e che pure c'è senz'altro , Blake è finalmente diventato quel formidabile cantautore che si lasciava intravedere, a (molti) sprazzi, nell'esordio di due anni fa. Dietro ogni canzone, adesso, c'è un'idea precisa, dietro ogni idea la capacità finalmente raggiunta d'intrecciare splendidamente la solidità di una voce marmorea e quel groviglio mutaforma fatto di beat sbilenchi e batterie sincopate che calcificano nella struttura ossea di ogni canzone. Dimenticate la nebbia fittissima di infinite pause e sospensioni e continui rimandi che alzava il primo album, pur bellissimo: qui c'è molta più sostanza, e anche nei pezzi più raccolti e minimali ("DLM" e "Our Love Comes Back", quest'ultima forse la meno riuscita in un oceano di perle), Blake mostra uno slancio compositivo probabilmente irraggiungibile ai più, accompagnato in questi due episodi quasi solo dal pianoforte e riprendendo quella strada strettamente cantautorale percorsa già con la bellissima "A Case of You" in "Enough Thunder EP" (cover di Joni Mitchell).
Parlavano di sostanza e consistenza, ma prima una parentesi metafisica: "Retrograde", per dire, è un capolavoro come non se ne sentivano da tempo... una di quelle canzoni che si potrebbe ascoltare all'infinito (e io non ci sono vicino, ma ai 100 ascolti sì). Una canzone intensa, con un tappeto di synth a prendere lentamente il volo fino al decollo spaziale mentre accompagna Blake che intona con voce ispiratissima "Ill wait, so show me why youre strong/Ignore everybody else/Were alone now/Suddenly Im hit/Is this darkness of the dawn/And your friends are gone/When you friends wont come/So show me where you fit/So show me where you fit..." in un crescendo emotivo da brividi, immersi in un lirismo vibrante, pieno di cambi di registro, Blake che passa dai toni scuri ai toni chiari, dall'entroterra magmatico di una voce gutturale al falsetto appena accennato, dalle note che rimbombano nella bocca chiusa alle note che esplodono dorate dalla bocca spalancata. In tutto e per tutto un capolavoro. Ma c'è ancora un corpo da raccontare: è il groove secco e magnetico di "Life Round Here", continuo rincorrersi di battiti pulsanti e versi sci-fi dei synth: impossibile non cedere così al futuro. Perché è proprio la sensazione di moderno oltre il moderno, di avveniristico, quella sinuosa idea-concetto di futuribile che, tradotta in musica, restituisce alle canzoni di Blake il profilo di artifici lontani nel tempo suoni evoluti, nuovi ma non alieni e fanno di lui il cantautore che più di tanti altri si sta avvicinando a una forma di canzone davvero nuova, originale, a metà strada perfetta tra fantasia sfrenata e sperimentazione controllata. "Every Day I Ran" è un altro universo di avanguardia a portata di mano: rap cosmico venato trip-hop (i samples sono presi da "Royal Flush" di Big Boi), deformazioni androgine in itinere, e tappeti di synth siderali a spaziare vasti tra le distanze. Poi ancora, altre contaminazioni: rap underground e soul overgrown nella gabbia buia di "Take a Fall For Me", tra claustrofobia e sollievo, pressione schiacciante nelle metriche chiuse di RZA e fremiti libranti nel cantato celeste di Blake. Una canzone tra forza di gravità e assenza di questa, che tuttavia non tutti apprezzeranno, probabilmente: il featuring è riuscito poco, è vero, ma i samples di Blake già noti nei sui mix e nei suoi dj-set rimangono momenti alti del disco.
E come nulla fosse, con l'aplomb del perfetto londinese quale è, il nostro rincara la dose e ci seduce con l'ultimo tris di canzoni, una più affascinante dell'altra: "Digital Lion" (con Brian Eno in produzione: prima ambient-oriented, poi pioggia di suoni aspri e mini-fratture glitch, e infine cavalcata di batterie elettroniche sincopate mentre mormorii e sussurri spalancano la catarsi mistica), quindi "Voyeur" (un soul pacato e disteso che cresce lentamente in uno spettacolo micro-house di luci e suoni, bpm in rampa di lancio e sirene synthetizzate sullo sfondo). E ultimo tra i gioielli, la bellissima "To The Last", consacrazione definitiva della scrittura di Blake (come sale la canzone... un synth che risuona come campane profetiche fino allo squarcio abissale aperto da una voce astrale qui il nostro londinese viaggia altissimo a dare una dimensione di intensa sacralità agli spazi che vibrano sospesi). Contemplazione pura.
"Overgrown" è quindi quello che resta dopo l'incredulità di una magia, il senso di meraviglia che solo il prodigioso smuove: la consapevolezza sfocata ma lucida di aver appena assistito a qualcosa di veramente nuovo e veramente significativo per la storia della musica, un sound che deriva, pezzo per pezzo, da molto passato già conosciuto per diventare altro ancora. Ladies and gentlemen, da Londra il soul del futuro. Che è presente.
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