Blur
Modern Life Is Rubbish
Il 1993 è anno di grandi cambiamenti per la musica inglese, che vedeva scemare il clamore della stagione di Madchester, destabilizzata dalla rabbia cieca, ma anche molto conservatrice, del grunge. I Blur, nondimeno, si trovano, nellanno in questione, in una fase cruciale della loro storia.
Leisure, primo disco della formazione, sulla lunga distanza, non porta i frutti sperati. È chiaramente arrivato fuori tempo massimo, l'epoca di Stone Roses e compagnia, come detto, è finita (il secondo disco di questi sarà fallimentare, sotto il profilo sia artistico che commerciale) e pure la psichedelica stagione shoegaze volge al termine. Inoltre, il tentativo di tour statunitense in cui i quattro s'imbarcano nel '92 li prostra fisicamente e mentalmente: il pubblico è scarso e certe canzoni non attecchiscono presso platee che stanno osservando il fiorire del grunge, troppo agli antipodi rispetto al sentire britannico. Ci vuole una novità, qualcosa che imponga una sterzata decisa. L'idea viene a Damon Albarn: rispondere con tenacia ed orgoglio alla scena U.S.A., da lui giudicata volgare e poco interessante, calcando la mano ed estremizzando la propria anima british. Prova tecnica del nuovo corso è il singolo del '92, Popscene: testo sarcastico su chitarre new wave-punk, batteria e basso tirati, senza che venga disdegnata per questo la ricerca melodica e di arrangiamento, esplicitata dall'inserimento dei fiati, che non gonfiano il pezzo, ma lo esaltano. È nato il brit-pop. Tuttavia, il primo full-lenght del neonato genere viene dato alle stampe dai londinesi Suede, che battono sul tempo i quattro di Colchester ed il loro Modern life is rubbish, pubblicando il proprio omonimo debutto nell Aprile ed ottenendo una visibilità mediatica molto superiore. Tralasciando le rivalità che allepoca caratterizzavano questi due complessi (rivalità vere, con tanto di fidanzate scippate), i due album sono in realtà molto differenti, manifesti di due approcci alla materia sonora peculiari e distinti: tanto luno è melodrammatico e abrasivo (Suede), tanto laltro è leggero e sardonico (MLIR).
Ad ogni modo, la svolta per i Blur rispetto a Leisure è netta e lo è anche la qualità di scrittura. Lo si capisce fin dalla prima canzone: pronti via ed è subito For Tomorrow, uno degli apici della loro carriera e punto cardine della loro poetica. Pare che fosse stata composta piuttosto in fretta da Albarn, per ovviare alla mancanza di un vero e proprio singolo da pubblicare. Aneddoto, questo, stupefacente, considerando che questo pezzo è un mezzo miracolo; la canzone è mossa da una sghemba successione di accordi (parte in DO#- per svilupparsi nei bridge e nei ritornelli su scale di FA e di LA-), che non ne inficia l'orecchiabilità e l'immediatezza, anzi le rafforza di contrasto (sfido chiunque di voi a non canticchiare i la la la... del chorus), rendendola permeabile a ripetuti ascolti. Tutto viene irrobustito e reso immortale dai sontuosi arrangiamenti orchestrali, in particolare mirabili sono l'intervento del coro lirico alla terza ripetizione della strofa, magistrale nel creare la massima tensione della composizione, nel momento in cui essa sembrerebbe aver già detto tutto e l'accompagnamento di ottoni nel finale, che determina un andamento quasi fanfaresco. Il testo, poi, è una delle più ispirate lodi di Damon a Londra, la "sua" città, al tempo stesso nostalgico e pieno di struggente speranza. In una parola, un capolavoro. Sebbene For tomorrow sia la punta di diamante, il resto del disco viaggia su livelli molto alti, tanto che si può affermare che su 14 canzoni (più due advertisements) non ve ne sia una poco riuscita, eccezion fatta per la poco brillante Turn It Up, saggiamente lasciata verso la fine dell'album. La cultura musicale di stampo britannico dei nostri è debitrice soprattuto di formazioni anni '60, quali Kinks o Pretty Faces, a cui vanno ad aggiungersi riferimenti new wave, mutuati da Jam o XTC (in una prima fase, il produttore di MLIR era proprio Andy Partridge, frontman di questa band) e psichedelici (da Syd Barrett ai My Bloody Valentine). Di fronte ad una tale varietà stilistica, viene a corrispondere una precisa coerenza formale e di produzione, facilitata ed esaltata dall'abnegazione con la quale si cerca costantemente di inglobare le apparenti disomogeneità in un sintetico (nell'accezione enoiana) pop (post)modernista, sapientemente debitore dei classici nel modello, intelligentemente contemporaneo nei contenuti, sia testuali che musicali. In particolare, collante fondamentale, in quella che è ancora (e sostanzialmente lo sarà sempre) una guitar oriented band sono, appunto, le chitarre. In MLIR si può assistere alla consacrazione del talento di Graham Coxon, un perfetto connubio tra (finta) anti-tecnica e conoscenza, in grado di frullare e miscelare 30 anni di chitarra pop-rock, anche nello stesso pezzo (nei casi più ispirati, addirittura nello stesso riff). Si parla di uno dei chitarristi più importanti della sua epoca e questo album è qui a dimostrarlo: si passa dagli scheletrici giri new wave di Advert alle tremolanti shoegazate (tra i pochi, nel brit pop, a rifarsi anche a questa corrente) di Oily Water, dalla psichedelia acida di Pressure On Julian all'alternative rock di Colin Zeal, il tutto con una naturalezza e omogeneità impressionanti. Paradigmatica della sua classe è Chemical World, canzone neo psichedelica scritta da Albarn, semplice, ma bellissima, su cui Coxon scatena la sua fantasia con una serie di frasi chitarristiche, piccoli contrappunti che non hanno l'arroganza di ergersi in primo piano, ma che dettano gli umori della canzone sullo sfondo. Per un chitarrista, qual è il sottoscritto, orgasmo per le orecchie.
Perla nascosta dell'opera è Blue Jeans, dolce, ma tutt'altro che smielata, canzone d'amore, che dimostra una volta per tutte quanto, anche "solo" curando in modo certosino gli elementi basilari di un motivo pop, ovvero la progressione di accordi, la linea vocale e la struttura, si riesca ad ottenere tranquillamente un ottimo risultato, senza inutili voli pindarici nella composizione e nel sound.
In sostanza, Modern Life Is Rubbish è quasi un capolavoro, nonché un disco di fondamentale importanza, a cui però mancano ancora i pezzi da novanta (o meglio, una certa catchyness) per far compiere ai suoi autori il definitivo salto di qualità, soprattutto a livello di pubblico. Ma la svolta è dietro l'angolo. On sunny beaches take your chances, Damon...
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