Gus Gus
Forever
Quella dei Gus Gus è una storia quantomeno eccentrica. Nascono a metà anni '90 come un ensemble di oltre 10 elementi, che si rivolgeva soprattutto al mondo cinematografico. La fama però arrivò fin da subito grazie al loro talento musicale, che ruotava su varie sfumature dell'elettronica, affrontate con un approccio personalissimo. Vengono dall'Islanda, la terra di Björk e Sigur Rós, e sappiamo bene quanto possano essere unici da quelle parti.
Già con Polydistortion (1997) riscossero un discreto successo. E' il miglior lavoro del loro primo periodo, che riflette bene la natura orchestrale del gruppo, e offre un ampio spaccato del loro stile: i Gus Gus coniugano le espressioni trip-hop del filone classico con un certo ambient-pop melodico di scuola francese, ma sempre guardando con piacere ai territori dance. E' il biglietto da visita con cui conquistano il pubblico, confermato anche nel buon This Is Normal (1999).
Poi però accade che il gruppo inizia a perdere pezzi, e una grossa fetta decide di andare a fondo nel mondo della produzione cinematografica. E ridottisi ad un numero esiguo (4 agli inizi dei '00), diventa più semplice pensare ad una possibile svolta stilistica. Fu così che i nostri si decisero ad affrontare il loro lato più danceable, esplorando con maggiore decisione le possibilità di techno e house. Gus Gus vs T-World (2000) e Attention (2002) furono così vere e proprie tappe di avvicinamento verso la meta.
Nel 2007, con cinque anni di maturazione alle spalle, vede la luce Forever: praticamente la migliore tech-house di sempre. Quell'energia inespressa che giaceva sottopelle finalmente esplode nella sua forma migliore, e i frutti sono gustosissimi. Le ritmiche svelte sottendono l'attitudine danzereccia dell'album, ma è lo spettro completo delle stratificazioni ad essere particolarmente riuscito. Le presentazioni sono affidate a You'll Never Change, che ben riassume tutti i concetti: mentre i Roland segnano il tempo come fossero flash di fotocamere sulla Montée des Marches, la protagonista assoluta diventa la voce di Earth, che sboccia nelle sue perfette coreografie pop, coi suoi ritornelli killer e quel timbro chiaro, diretto, libero da inerzie, da cui è difficile difendersi.
E' la combinazione vincente, che riesce in egual misura a scaldare le gambe e a ficcarsi in testa. Il singolo Hold You fa da ariete, piantando la bandiera definitiva per il dominio del pianeta: esistono pochi rivali ad un tale incastro empatico tra sinuosità vocali e scariche sintetiche, mentre una solida cassa in quattro esercita una stretta sorveglianza. A fargli compagnia l'altro estratto, Moss, e una irresistibile alternativa sfumata al soul, Sweet Smoke.
Ma non è l'unica pietanza del pasto, anche perchè stiamo parlando di 75 generosissimi minuti totali. Con Need In Me vengono ospitati quei timbri tipicamente trance, ma senza perdere nulla in termini di fruibilità. In esperimenti strumentali come Porn si isolano le basi sintetiche che governano il disco. C'è spazio per momenti hard-bass più drogati (Forever), ma anche per omaggi groove come Lust e Mallflowers. E non ultima, c'è If You Don't Jump (You're English), il miglior cavallo di battaglia ai concerti, in cui non importa se sei islandese, inglese, sordo o sofferente di artrosi: si salta, non c'è resistenza che tenga.
Oggi li stiamo aspettando con una certa attesa, sì, ma con la pancia piena, grati delle soddisfazioni ricevute in questo loro apice. Che ripropongano nuovamente loro stessi, o che imbocchino nuove strade, ormai ha un'importanza relativa: la scintilla è scattata. E quando si è innamorati, in fondo, cos'altro conta?
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