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R Recensione

6/10

A Storm Of Light

Nations To Flames

Dovevano arrivare al quarto disco studio in cinque anni appena, gli A Storm Of Light, per comprendere finalmente le motivazioni dell'uscita del mentore Josh Graham dai Red Sparowes. Caduti gli irrigidimenti post metal, si sfalda ora anche l'ultimo baluardo di conservatorismo impenitente: il sistema concept. Esplorato lo sfruttamento degli oceani, la distruzione del suolo e la fame di guerra che autoalimenta la crescita del potere costituito, al quartetto di Brooklyn altro non resta che sferrare l'ultimo e decisivo pugno allo stomaco: ferro ignique. Nessun fronzolo, rinuncia ad elaborati arrangiamenti, ulteriore semplificazione della forma canzone: il risultato sono undici pezzi di soli foga e furore.

Si chiude una pagina, non esaltante, e se ne apre un'altra. Graham oggi non sembra più uno Scott Kelly di seconda categoria o un Aaron Turner rinnegato: i modelli più vicini arrivano dal mondo del “nuovo” heavy metal in mutazione perenne (l'attacco schiumante di “Fall” ricorda immediatamente Troy Sanders dei Mastodon, un deja senti ancora più evidente in una ritmatissima “Lifeless”) o dai numi tutelari dell'industrial, dal vecchio Al Jourgensen in avanti. C'è molta estetica Ministry in queste canzoni perfettamente circolari, sgraziate, ridotte all'osso, deprivate di assoli e contorsioni. Se la voce è grido e zampillo propulsivo, motore incessabile di un organismo dalla crescente fisicità (citiamo ancora “Lifeless”, per il suo finale convulso e contratto in spasmi muscolari), sono le chitarre le vere clave inebetite che menano colpi a destra e a manca, senza curarsi di coordinazione e coreografia. L'hard-doom High On Fire di “You Are The Hunted” (con tanto di vituperabile incitamento corale, un'altra novità assoluta nella galassia A Storm Of Light) si scarnifica nell'insistito mono-riff di “Apostles Of Hatred”, nelle zone d'ombra tribali di una sulfurea “Dead Flags” – l'apocalisse prima della battaglia: azzeccatissima la scelta del batterista Billy Graves di ridurre al minimo l'impiego dei piatti –, nell'assalto cieco e quasi thrash di “Omen”, nelle atmosfere meccaniche della strumentale “Soothsayer”, nelle reminiscenze Swans di “All The Shining Lies”.

Si voleva un segnale di discontinuità, l'ennesimo, e lo si è avuto, tra buone intenzioni e irritazione di fondo. Il binomio contrastivo che da sempre accompagna gli A Storm Of Light, d'altro canto.

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