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R Recensione

9/10

Swans

Children of God

Una innata capacità di riuscire a unire un insieme di generi lontani fra loro sia stilisticamente che geograficamente è sempre stato il punto di forza degli Swans, band Newyorchese che è riuscita a costruirsi nel tempo una certa fama a livello underground. Se infatti gli esordi del quintetto avevano ben poche possibilità di farsi apprezzare da un ampia fetta del mercato musicale, a causa del loro stile unico inspirato da  un  industrial pesante di stampo tedesco, un dark-gothic inglese fra i più minimalisti, un  noise abrasivo à la Sonic Youth e da un violento hardcore-metal, con Children of God i Nostri hanno il merito di introdurre un barlume di melodia a fronte di un suono sempre granitico e dall’appeal radiofonico pressoché nullo. Si tratta però dell’album della maturità, in cui alla voce atona e distaccata del frontman Michael Gira, si aggiunge quella spettrale e soffice della Jarboe, più incline alla melodia.

Children of God si apre solennemente con la grandiosa New Mind. Un ritmo martellante e osssessivo delle percussioni e un basso pulsante fanno subito venire in mente le punte di diamante della dark-wave britannica: su tutti i Bauhaus di In The Flat Field e i Killing Joke nelle loro composizioni più abrasive (ad esempio Wardance o Complications), ma anche i primi Joy Division, quelli più secchi e istintivi di Warsaw o Digital.

In My Garden cambia però già rotta, crea uno scarto dalle classiche composizioni pesanti degli Swans. Se le atmosfere sono ancora cupe e claustrofobiche, la Jarboe inventa una nenia pacata e gentile, con tanto di accompagnamento di pianoforte, sognante come solo Elizabeth Frazer, dei Cocteau Twins, sapeva rendere.

Con la successiva, Our Love Lies, anche Michael Gira mostra di essere in grado di sapersi adagiare su toni delicati; la sua voce appare di più come quella di un Ian Curtis di Closer o di un Nick Cave della maturità. Anche l’incedere di una chitarra acustica contribuisce a diluire la naturale drammaticità della sua voce. Elemento di rottura con la tradizione è però più che altro la stessa Jarboe che con i suoi cori di sottofondo dona vivacità e policromia alla composizione, quasi una Marianne (Leonard Cohen) dei tempi moderni: la voce penetrante e magnetica di Gira non occupa più tutta la scena, ma viene ricondotta a misura dalla Jarboe che ne stempera gli angoli più spigolosi.  

Ma l’album cresce in drammaticità con Sex, God, Sex, un lento e ripetitivo rituale arcaico da catacomba che riporta il suono degli Swans nel cuore della tenebra. Siamo lontani dal dark intimista e romantico di Joy Division e Cure, sono invece evidenti le influenze dei Bauhaus e del loro stile crudo e minimalista.

Il lungo rito religioso prosegue con Like a Drug, arcigno sermone di un folle santone impossessato del demonio che annuncia la fine del mondo. Il coro pronunciato quasi in sottovoce dalla Jarboe non stempera l’atmosfera da incubo, ma anzi ne aumenta l’inquietudine. Anche lei sembra essere stata sedotta dal sinistro cerimoniale che proprio lei ha contribuito a creare: la sua voce delicata e dolce è un ricordo lontano. Il suo “Sha la-la” sembra pronunciato da una arpia in preda a un raptus di follia più che da una dolce sirena.

Giusto il tempo di una pausa, la bella You are not Real, Girl, che si insinua come un raggio di sole (un sole malato però) fra le tenebre, perché le porte della cripta si richiudano di nuovo: Beautiful child, è una danza di morte, un rito indigeno, scandito dalla voce urlata di Gira e dal battito monotono e frenetico dei tamburi. La preghiera è diventata una richiesta di redenzione e di salvazione, un ultimo disperato appello alla divinità. Come in ogni disco “oscuro” che si rispetti, il fascino per l’ignoto e per l’esotico è un tema centrale. Così, se Siouxsie Sioux viaggiava con il treno della musica nelle remote province dell’estremo oriente (Hong Kong Garden) e nei magici deserti di sabbia dell’Arabia (Arabian Knights), gli Swans preferiscono esplorare le comunità indigene, le tribù dell’Africa Nera.

Raggiunto così il vertice del dramma apocalittico, spetta di nuovo alla Jorboe di riportare la quiete dopo lo scatenarsi della tempesta: Blackmail è una soave ballata, lieve come una carazza, ma dolorosa come un coltello acuminato. “Close your eyes” pronuncia la cantante, e sembra essere una resa di fronte all’imprevedibilità della vita, di fronte all’ineluttabilità della morte, di fronte all’incertezza del domani e soprattutto di fronte all’impossibilità di sapere se c’è mai un Dio che ci possa salvare dall’oblio eterno.

Il Vaso di Pandora si è richiuso ormai, all’incubo, alla paura si è sostituita la speranza di un riscatto terreno: Trust Me e Real Love procedono con ritmi da marcia funebre, ma sopraggiunge la consapevolezza di poter trovare la felicità attraverso un’amicizia basata sulla fiducia o grazie ad un amore vero. Real love è anche una delle composizioni più riuscite grazie al suo ritmo fluido e incalzante addolcito da una sezione di archi e di fiati. Blind Love invece non aggiunge nulla al quadro espressionistico abilmente dipinto dagli Swans. Ben altra cosa è invece la title track, Children of God, forse il capolavoro dell’album. Il suo coro sinistro è uno di quelli che si dimenticano difficilmente per la sua distaccata semplicità e per la sua dolce tristezza.

L’album si chiude con I’ll Swallow You che si fa apprezzare per il sottofondo noise e industrial e per il ritmo veloce e secco.

Il gothic rock degli Swans non è interessato al disagio interiore dell’individuo, bensì il dramma è condotto a una dimensione universale in cui le atmosfere claustrofobiche e apocalittiche riflettono quella che è la condizione umana, una condizione di paura, incertezza, di sofferenza. Il rapporto con la divinità diventa così lo strumento per trovare la serenità e la sicurezza, per dare una risposta a quesiti cui la ragione umana non può rispondere, per far fronte al degrado morale della società moderna.

 Children of God è un piccolo capolavoro dell’underground americano, una ispirata e completa  sintesi di tutte le esperienze oscure che il rock ci ha regalato, ma rielaborate con grande originalità, intelligenza e passione.

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Voto degli utenti: 8,4/10 in media su 19 voti.
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4AS 10/10
Monk 8/10
loson 8,5/10
Dr.Paul 7,5/10
Mandrake 10/10
zagor 8,5/10
B-B-B 5/10

C Commenti

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4AS (ha votato 10 questo disco) alle 16:22 del 26 novembre 2008 ha scritto:

Inquietante

Capolavoro. La voce macabra del cantante in contrasto con quella angelica della cantante crea un'atmosfera inquietante. Un disco dal fascino esoterico

Monk (ha votato 8 questo disco) alle 23:26 del 8 novembre 2011 ha scritto:

la desolazione e il piacere

La vanità delle cose terrene, nel disco forse più leopardiano mai prodotto. Nel dialogico da tragedia, erompe la lacerazione tra la speranza dell'angelica Jarboe e la "placida disperazione" di Gira. E' una ambiente spettrale, come nuvole che trapassano le montagne: uno sperduto paesaggio di desolazione e piacere.

zagor (ha votato 8,5 questo disco) alle 14:06 del 5 settembre 2013 ha scritto:

pochi vantano una discografia così bella ( anche the seer l'anno scorso era notevole).

blaze94 (ha votato 9 questo disco) alle 0:10 del 21 novembre 2014 ha scritto:

Capolavoro, il perché lo lascio a chi sa.

Lo custodisco gelosamente in LP, prima stampa

swansong alle 18:04 del 21 novembre 2014 ha scritto:

Mah...Premetto che non li conosco. Sicuramente sarà colpa mia, certo però che "New Mind", la canzone postata qua sopra, non ha NULLA, ma PROPRIO NULLA, di attraente (e non voglio commentare la qualità del video..). Pardon

unknown (ha votato 8 questo disco) alle 23:23 del 21 novembre 2014 ha scritto:

hai avuto la mia stessa reazione di quando lo ascoltai la prima volta..ma credimi è un bel disco ....necessita di alcuni ascolti per prenderti