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R Recensione

6/10

Mogwai

Kin O.S.T.

Inaugurata quasi per scommessa una decina d’anni fa, con la duplice sonorizzazione di Zidane, un portrait du 21e siècle (Douglas Gordon, Philippe Parreno) e The Fountain (Darren Aronofsky), la carriera parallela dei Mogwai come compositori di soundtracks si sviluppa a ritmo crescente, raggiungendo oggi – con questo “Kin”, commento sonoro al tiepidamente accolto sci-fi di Jonathan e Josh Baker – l’invidiabile traguardo del sesto capitolo (quello che, per capirci, nella discografia “tradizionale” corrisponde al bel “The Hawk Is Howling” del 2008). L’incessante produzione in studio non sembra appannare considerevolmente la scrittura del quartetto scozzese che, assorbita del tutto la fuoriuscita di John Cummings, esplora ancora territori prevalentemente piano- e synth-oriented, come per il riuscito “Atomic”. Diversissimi sono però i toni di quest’indagine: lì cupi e decadenti, qui introversi e scintillanti.

Il singolo “Donuts” dà l’idea del tenore complessivo della soundtrack: una luminosa e spiraliforme synth-wave di tre-note-tre, avvitata in un estatico (e un filo bombastico) crescendo fra post rock e shoegaze. Ancor più conservativa è “Guns Down”, dove la melodia isolazionista del pianoforte viene accompagnata dalle spazzole di Martin Bulloch ed escoriata dalle ruggenti distorsioni delle chitarre: la title track, infine, si traveste da austero, retrofuturistico esercizio neoclassico. Sono i tre episodi più lunghi della tracklist e anche, assieme alle roboanti stratificazioni di “Flee”, quelli più efficaci, pur se tremendamente classici. Dove impera il minimalismo i risultati sono maggiormente altalenanti: per la suggestiva slow motion coreografica di “Eli’s Theme” (replicata quasi fedelmente nella successiva “Miscreants”), l’intimismo ambientale di “Funeral Pyre” e la trillante sonatina sintetica di “Scrap” sembrano procedere col freno a mano tirato. La narrazione raggiunge infine il suo apice nell’unico episodio cantato, la dinamica wave da stadio di “We’re Not Done (End Title)”, in verità abbastanza frusta e prevedibile (nulla a che vedere con piccole perle del recente passato quali “Party In The Dark”).

Quando decidono di giocare in casa, va detto, i Mogwai non hanno rivali credibili: ma prima ancora del risultato, è il canovaccio del match ad essere sempre lo stesso. Disco nella media, senza picchi né avvallamenti. 

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