Ottone Pesante
Apocalips
Da quando, un paio danni fa, ne scrissi la recensione, non ho più sentito lesigenza di far girare nello stereo Brassphemy Set In Stone. Ne ero già certo allora, senza bisogno di molte prove: una fase la prima, quella inaugurale, per certi versi la più difficile si era già conclusa con quel disco, un lavoro sicuramente non brutto, ma minato da svariati ed evidenti limiti interni che ne smorzavano il potenziale, ridimensionandone limpatto. Solo con un ulteriore salto di livello si sarebbe potuti sfuggire allo stereotipo castrante del trio che fa metal con le trombe, definizione certo icastica ma del tutto incompleta e parziale: e transizione infine è stata, in perfetta continuità col passato (persino nei titoli: Apocalips era il brano che chiudeva la tracklist dellesordio), formalizzata in un disco concettuale che media rozzo primitivismo e trenodie sulfuree in un ampio diapason orchestrale.
I passi da gigante, sebbene mossi in un lasso di tempo così contenuto, sono a portata dorecchio in praticamente ogni aspetto, dalla scrittura allinterplay dei musicisti, dallapproccio stilistico alla nuova propensione alla variatio. Nel precedente articolo veniva invocato il modello Mombu come esempio cui tendere per dribblare le secche del minimalismo e riproporsi in veste profondamente rinnovata: non è per chiromanzia, ma per minima conoscenza delle dinamiche dellunderground heavy tricolore che oggi possiamo verificare come la suggestione sia stata raccolta e messa in pratica. Assolutamente tonitruante il trio dapertura. Gli ottoni della frase principale di Shining Bronze Purified In The Crucible una sorta di metamorfosi organica degli epici arrangiamenti che gli Esecutori di Metallo su Carta scrissero per i Fuzz Orchestra di Uccideteli Tutti! Dio Riconoscerà I Suoi rientrano e si espandono con senso sinfonico della posizione. Lamb With Seven Horns And Seven Eyes inserisce di sguincio frammenti incendiari di melodismo bandistico nel sanguinoso duello che i fiati ingaggiano a perdifiato in appena due minuti e mezzo (seguendo il passo dettato dallalternanza di d-beat e crash super heavy dietro le pelli). Bleeding Moon, costruita su un articolato bordone del trombone di Francesco Bucci, sfibra ed astrae la sanguigna carnalità della tromba di Paolo Raineri, in molti scambi resa dolente stringa melodica, come nei destrutturati assoli dei Meshuggah: tra concatenazioni jazzcore e sovrastrutture folkloristiche (tornano in mente gli scambi da controra agostana dei CorLeone di Blaccahénze o lavanspettacolo grandguignolesco degli Zu di Bromio) si arriva ad un passo dal bagno di sangue.
Di materiale per la discussione, come vademecum per linvito allascolto, ce ne sarebbe ancora molto, in positivo e in negativo. Note sparse dalla prima categoria: lassoluta padronanza di minutaggi anche molto impegnativi (i tredici minuti e mezzo della ieratica ed immota Doom Mood, lontana dagli stereotipati impacci di una Trombstone, sono un congedo coi fiocchi), la scelta di evoluzioni armoniche incalzanti e originali (Seven Scourges, con un centrale rallentamento bebop su catene di 7/8 e 5/8, fa un figurone), il coraggio di non tradire mai le proprie fonti di ispirazioni (fate suonare Locusts Army ad un power trio convenzionale ed avrete un proiettile thrash da ricordarvi fino alleternità). Qualche rilievo, per correttezza, anche dalla seconda: una tendenza evidente alla disomogeneità quando contagiri ed ambizioni si impennano (il dialogo doom oriented di fraseggi dodecafonici e minimalismo seriale in Twelve Layers Of Stones) e qualche sbavatura importante in fase di impostazione strumentale (Beppe Mondini, più che scientemente off beat, sembra ancora a corto di fiato nel cercare di tenere testa a Bucci e Raineri in The Fifth Trumpet), oltre che qualche scivolone kitsch frutto più della voglia di strafare che di una scarsa percezione estetica (che anzi, nella scelta di Travis Ryan dei Cattle Decapitation come voce urlante della summenzionata The Fifth Trumpet, voleva essere ben polarizzata).
Un nuovo inizio. Un inizio importante.
Tweet