Kids These Days
Traphouse Rock
Ragazzi di oggi. DellAmerica di oggi. Esponenti, loro malgrado forse, della meglio gioventù obamiana: multiculturale e divisa fra crisi e speranza, ribellione e opportunità. Bianchi e neri in parti eguali: figli di unobliqua genealogia del rap strumentale che risale a Beastie Boys e The Roots. Non privi, però, di un approccio personale interessante e dun certo spessore dal punto di vista musicale. Un po hipster, un po banda del liceo, un po musicisti di strada, come gruppo genericamente hip-hop i Kid These Days sono proprio strani, a partire dal numero dei componenti (sei) e della loro composizione: un terzetto vagamente alla Black Keys capitanato dal chitarrista Liam Cunningham, un duo di fiati (tromba e trombone) e ben tre voci, una cantante pop-soul (Macie Stewart) che suona anche piano e tastiere, un rapper vero e proprio che sembra una versione buonista e graduate di Earl degli OFWGKTA (Vic Mensa) e uno shouter alt rock (sempre Cunningham). Lalbum desordio, Traphouse Rock, è un po il delta in cui tutti questi elementi e sonorità confluiscono e si mescolano, scontando qualche ingenuità, perché no, qualche eccesso dentusiasmo, ma con un indubbia ricchezza di spunti.
Come molti loro coetanei i Kids These Days guardano al passato con la voracità internettiana di questi tempi ma anche con labilità tecnica e la metodica precisione dei bravi studenti di musica (specie nella sezione ritmica dove spicca leccellente batterista Greg Landfair). Non a caso la maggior parte di questi ragazzi, tutti fra i 19 e 20 anni, ha studiato jazz e improvvisazione alla Merit School of Music di Chicago e linflusso si sente. A parte qualche eccezione, i 15 brani che compongono Traphouse Rock sono ben articolati, ricchi di cambi interessanti e rivelano una discreta qualità melodica e scelte di arrangiamento azzeccate. In sede di scrittura, i Kids These Days utilizzano una tecnica che loro stessi definiscono samplin strumentale - evidente, ad esempio, nella ghiotta citazione chitarristica di Smell Like Teen Spirit incastonata allinizio di GHETTO o nella conclusiva A Mans Medley che rielabora e sovrappone A Mans World di James Brown e Summertime di George Gershwin - e con la quale bilanciano una certa propensione alla jam conferendo alla forma canzone una sorta di ariosa elasticità. La produzione di Jeff Tweedy dei Wilco e il mixaggio di Mario Caldato (storico produttore dei Beastie Boys negli anni 90) sono una garanzia assoluta e il risultato finale è un black-rock anni 70 (carico cioè di elementi funk, soul e blues), suonato da indie-kid degli anni 2000, con il rap, a seconda dei casi, come variabile o costante.
Focalizzando lattenzione sui singoli brani, oltre alle già citate GHETTO - funky anthemico e sincopato in continue ripartenze che sfocia in un finale fuzzy e distorsivo - e il tema libero e aperto di A Mans Medley, si segnala il singolo di punta Dont Harsh My Mellow che denota labilità del gruppo nel trasfomare un risaputo pezzo street-rap in qualcosa di più elaborato e personale, con il classico boom-cha sovrastato a poco a poco dallincalzare di una batteria ficcante e irregolare, il rintocco minaccioso e jazzato delle tastiere, i cori spettrali di sottofondo al rappin veloce e cattivo di Mensa. Ma i Kids This Days sanno anche variare con intelligenza, uscendo dal classico schema rap-rock con soluzioni più sfumate e melodiche come la lunga Doo-Wah, ad esempio, fusione di indie-pop e nu-soul, con le tastiere e la voce della Stewart in evidenza, che cede alleasy listening ma non rinuncia ad un intensa coda quasi shoe gaze o Talk 2 You, atmosfera smooth e confidenziale molto anni 70, che alterna fraseggi funk-jazz e a distensioni lounge-pop o il gospel innodico e cinematico di Bud Billiken tutto giocato sullasse cori-fiati prima di avvitarsi, ancora nel finale, in un bellassolo di chitarra acido e spigoloso. Chitarra che, al pari del suo autore, il bravo Cunningham, si ritaglia uno spazio ancor più significativo in un paio di pezzi che lasciano intravedere unulteriore sfaccettatura del sound dei KTD: Wasting Time con linciso alla Black Keys che si stempera nel languore dei fiati e nel rappin felpato e intimista e Who Do U Luv, fantasioso adattamento dove la sacralità di My Body Is A Cage degli Arcade Fire si converte ad un blues-rock allusivo e profano, cantato e suonato (dallo stesso Cunningham) come farebbe Jack White e sospinto dal piano stile boogie e da cori da saloon.
Un esordio davvero promettente, in conclusione, che sa sorprendere per freschezza ed inventiva allinterno di un genere (chiamatelo pure crossover, se volete) nel quale si tende a dare ormai molto per scontato. Good Kids Windy City verrebbe da dire, parafrasando Lamar.
Tweet