The Black Keys
'Let's Rock'
Esistono gruppi per cui il metro di giudizio si tara non sullinnovazione di ciò che propongono, ma sulla qualità delle singole incarnazioni che derivano da unidea generale e come tale impermeabile a radicali sommovimenti di pensare, scrivere e rappresentare musica. Nel rock atomizzato e marginalizzato dei Duemila post-digitali non cè forse duo più iconico (nel contenuto) e brandizzato (nella forma) dei Black Keys: una delle ultime e più vere rappresentazioni di chi, con la stolida ostinazione di chi nutre ambizioni troppo grandi per il proprio umile status, col passare degli anni ha lasciato polvere e vuoto dietro di sé. Valga la prova che, a distanza di un lustro abbondante dallultimo Turn Blue (ma ad un paio dallultima fatica solista di Dan Auerbach, Waiting On A Song), questo Lets Rock manifesto programmatico ispirato dalle ultime parole di Edmund Zagorski, galeotto del Tennessee condannato alla sedia elettrica, per duplice omicidio, nel novembre 2018 sia ancora avvertito come una delle, se non addirittura la produzione rock dellanno.
Ogni considerazione su Lets Rock non può prescindere da una valutazione, finanche sommaria, di Turn Blue, lOne Hot Minute dei Black Keys (fortune commerciali a parte): un disco certo non brutto, ma di difficile inquadramento e di parziale rottura con londa lunga del successo globale del precedente El Camino (2011), specialmente nel suo duplice tentativo di stereotipare la formula del formato singolo e di aprire ad inedite suggestioni acustichedeliche. Giunto dopo un periodo di burnout e stress creativo che aveva intaccato la natura del rapporto personale fra Auerbach e Patrick Carney (non a caso dipinti come acerrimi nemici nel divertente cortometraggio in supporto al singolo Go), Lets Rock si propone come lavoro assai più tradizionale nella scrittura e nellimpianto: un disco il cui valore si riassume interamente nel valore medio delle canzoni che lo compongono, senza ulteriori sovrastrutture (indicativa dei due, a tal proposito, anche la scelta di congelare la collaborazione con Danger Mouse e scegliere la strada dellautoproduzione). Fortunatamente per chi ascolta, la tenuta generale aldilà di una certa patina di condiscendenza che assumiamo essere ormai connaturata alla band è ottima.
Con la solita formazione minimale espansa e rimpolpata da session men di livello, Lets Rock esibisce da subito lesplicita fascinazione per il rock americano di fine anni 60 (il disco è dedicato alla memoria di Glenn Schwartz, chitarrista dei James Gang deceduto nel novembre 2018 e autore di una tarda session negli Easy Eye Sound di Auerbach), sfoderando gli artigli nellhard-funk vitaminizzato di Shine A Little Light, prima di declinare nellelettrico boogie di Eagle Birds e risalire la china sfrangiata del soul di Tell Me Lies (una versione narcotizzata di Tighten Up). Assai pochi i momenti di stanca per chi scrive, forse, le infiltrazioni rnb di Lo/Hi e il più tardo aussie rock di Under The Gun anche perché, con deviazioni di percorso ridotte al minimo, il rischio di perdere il focus viene conseguentemente ridimensionato: così come un sitar sgocciolato negli interstizi di Breaking Down non ne intacca le profonde radici blues e la linea di tastiere in Walk Across The Water è esclusivamente funzionale allaccompagnamento del dimesso ritornello, lacustica creedenciana di Sit Around And Miss You (con ritmo bandistico e melodismo beatlesiano in lievitare orchestrale) e il dinamitardo rnr di Go (singolo che, per efficacia, fa impallidire Fever) sono solide riconferme di un trademark collaudato.
La sorpresa di Lets Rock, dalla prospettiva del recensore, è la costruzione della doppietta centrale, composta da Every Little Thing e Get Yourself Together. Se il primo è un mid irrobustito da armonizzazioni AOR e chitarre ad un passo dallhard rock (con tanto di assolo che, per struttura, affianca quello di Little Black Submarines), la seconda pesca dal ventre profondo del sud statunitense, arabescando con slide sanguigne una venale sciocchezzuola soul-country. Per la serie: a prendersi sul serio sono capaci tutti, ma non è che a forza di sottovalutazioni si manca il bersaglio? Domande legittime, che gli amanti delle comfort zones non sapranno risolvere.
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