Death Cab For Cutie
Codes and Keys
È piuttosto sbalorditivo come i Death Cab For Cutie, band chiave della scena indie americana anni zero, capace assieme di andare alla numero uno billboardiana e di piacere alla critica in occhiali nerd, siano diventati così marginali in così breve tempo. Mode che cambiano, sì. Ma ci hanno messo del proprio: l’ottavo disco della band di Seattle, ormai il quarto dopo la svolta radio-friendly di “Transatlanticism”, è stanco e pochissimo ispirato, con un Gibbard sempre più assediato dagli strascichi dei fantasmi tardo adolescenziali e una formula sonora paurosamente ferma.
La produzione di Chris Walla e Alan Moulder leviga i suoni, riempiendo i vuoti e cesellando con fredda raffinatezza, mentre la scrittura di Gibbard tocca i minimi storici. L’esito è un disco evocativo almeno quanto la copertina, cioè per nulla, lavorato e curato al punto da risultare incolore. Vedi, in apertura, “Home is a Fire”, dove la spinta ritmica fatica a bilanciare un abisso melodico totale, e vedi il singolo “You Are a Tourist”, guidato da un riff ben riverberato che persiste come se fosse (e lo è) l’unica idea sul piatto.
Che poi ai Death Cab non mancasse qualche buono spunto era prevedibile, ma gli episodi di noia pura (“Doors Unlocked And Open”, “Unobstructed Views”, “Portable Television”) li annacquano: “Underneath the Sycamore”, “Some Boys”, “St. Peter’s Cathedral” (bello il crescendo), "Stay Young, Go Dancing", in fondo, sono pezzi piacevoli, che non avrebbero stonato in “Plans” o “Narrow Stairs”, ma che, qua dentro, e ad anni di distanza da quei fasti, suonano poco più che autocitazioni. Suonano, dopo tutto, mediani pezzi pop su basi gentili di piano e chitarra che potrebbero fare in tanti, là fuori.
Disco inoffensivo. Magari, come ai tempi del primo leak di “Narrow Stairs”, poi rivelatosi un fake per l’imbroglio di molti, si potessero ancora confondere i Death Cab For Cutie per un'ignota band tedesca. Ormai suonano troppo prevedibilmente come se stessi.
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