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R Recensione

7/10

Julia Holter

Ekstasis

L’estasi dopo la tragedia. La 27enne californiana Julia Holter torna a un anno da “Tragedy”, concept art pop ispirato all’Ippolito di Euripide, con un lavoro meno ostico e più aperto a contaminazioni ‘easy listening’. “Ekstasis” rientra perfettamente in quella categoria del new religiose rilanciata da Reynolds, in cui starebbero assieme la Holter e altre sacerdotesse della sperimentazione (Juliana Barwick, l’ultima Kate Bush, Laurie Anderson, Joanna Newsom, Glasser e Grimes in ambito electro-pop) ugualmente agghindate in vesti arty, eccentriche celebratrici di rituali estatici, guide spirituali freak – più che per eccesso di indisciplinata bizzarria – per una calibrata visionarietà, non menadi ma razionali officianti. E così la chiave emotiva del disco è molto nitida nel complesso dei suoi 56 minuti, sebbene alcuni pezzi finiscano per soffrire di un’intellettualizzazione sovrabbondante.

La Holter, d’altronde, ne sa: esce da una scuola di musica di L.A e i suoi dischi li ha sostanzialmente completati da sola, in una gelosa intimità che in “Ekstasis” lascia filtrare i suoi succhi. L’album si costruisce tutto su intarsi di voce, merletti vittoriani, patinatura antica su esperimenti da avanguardia espressionistica e fondale etereo da ‘900 culturalmente squisito (citazioni da Virginia Woolf e Frank O'Hara), appartato in qualche hortus conclusus aristocratico, tra siepi di bosso e installazioni contemporanee. Qua compare una statua camusa di un satiro (“Für Felix”), là un’erma di Enya ornata in modo barocco (“Our Sorrows”) o una galleria di cineserie (“Four Gardens”), mentre i vocalizzi astratti della Holter conducono per sentieri liminari a dimensioni altre (i bordoni degli otto minuti abbondanti di “Boy In The Moon”, nei quali la liturgia, à la Grouper, diventa un po’ estenuante).

Ma la Holter, nel suo curriculum, ha anche collaborazioni con Nite Jewel e col chitarrista di Ariel Pink, che qua co-mixa. Mica bruscolini: la scena più cool di Los Angeles. E così il lirismo svaporato è condotto per mano da drum machine e basi electro-pop, fregi liberty di synth e drappeggi da antique shop, senza apparenti attriti, con effetti da clavicembalo che si sposano con sax, tastiere meccaniche che rifiniscono impostazioni vocali per lied classico e infiniti addobbi sonori minuziosamente allestiti. Dove questo art pop mescidato fa centro, ne escono brani splendidi (“In the Same Room” e “Moni Mon Amie” su tutti), e persino qualche accenno di inno (“Goddess Eyes” I e II, riarrangiate rispetto alla versione di “Tragedy”).

È una funzione privata, quella di Julia Holter. Probabile che dal prossimo disco, già in lavorazione, ci sia una maggiore apertura verso l’esterno, attraverso collaborazioni e contaminazioni. Se riuscirà a mantenere intatta la propria cifra guadagnando qualcosa in comunicatività, potrà diventare, da sacerdotessa, dea vera e propria.

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Voto degli utenti: 7,6/10 in media su 6 voti.
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C Commenti

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hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 10:04 del 21 maggio 2012 ha scritto:

disco coraggioso (ma non inaccessibile, sì), con tante visioni e insight da avanguardia pop (tratto che condivide con molti degli artisti citati). e anche estenuante, in alcuni passaggi: perché è lavoro insieme cerebrale e 'trascendentale', che richiede, per sua natura, certe espansioni per rendere al meglio. ma anche quando, senza perdere in cifra estetica, la holter trova maggior compattezza ottiene cose eccelse (nei frammenti, sul fluire di molti brani; e in "in the same room", naturalmente); vedremo se nel prossimo lavoro si batterà maggiormente questa via (faccio mia la tua ultima frase, quindi). ps: "goddess eyes II" su tutte, incredibile.