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R Recensione

6/10

Leonora

Electronic Ballads

Le disturbate ballate elettroniche di Leonora sono il frutto a lungo maturato di un a vita vissuta alimentando due anime musicali (o forse più) dai poli distanti: su un emisfero l’amore per il piano, sull’altro quello per le elaborazioni attraverso il computer. Coniugando anche la passione per l’arte multimediale, il quadro d’insieme che abbiamo è quello di una moderna “electronic songwriter”. Intimismo filtrato ed esploso attraverso le possibilità delle tecnologie ma vivo solo in virtù della forza compositiva che ne costituisce il seme, il fondamento.

Electonic Ballads risente sicuramente di tante influenze d’ascolto, probabilmente estese a tutto l’arco di vita della musicista romana, che veramente non pare avere alcuna puzza sotto il naso nel tentare di fondere intuizioni e aspirazioni. Fra Alice e Bjork, fra Cristina Donà e Goldfrapp, fra Max Gazzé e Martin Gore dei Depeche Mode (tanto per spostare l’accento su un paio di modelli maschili…), fra cantautorato pop italiano e introspezione nordeuropea, fra freddo e caldo, fra inverno e primavera, fra semplicità e groviglio: sempre fra opposti si muove Leonora. Addirittura fra testi in italiano e lyrics in inglese.

Non trova pace, o forse solo così la trova. Scorre la sua musica, fra rivoli di piano e inquietudini tech: tutto sembra passare senza dolore eppure ogni dettaglio graffia in modo sottile l’anima. E si diventa consci di ciò solo con gli ascolti. Sembra a portata di mano eppure si stende attraverso veli, stratificata nel profondo. La sua non è una elettronica di contorno ma ha una funzione pienamente strutturale: non una cornice decorativa. Il ritratto, piuttosto. Le parole fanno il resto, fluttuanti sfumature ricercate come perle preziose. L’invito ad addentrarsi dentro un brano come Salvadanaio è totale.

Per il resto è difficile trovare un momento debole o meno coeso alla materia musicale essendo tutta parte integrante di “una” carne viva. Certo la Leonora più crepuscolare è quella che prediligo, quando le tinte dei colori si fanno più oscure: da esaltare la densa bellezza di 909019No words o Changing (che sembra uscita fuori da qualche piega nascosta di Ultra dei Depeche Mode). Poi c’é quella parte del disco più legata al sogno o al ricordo, in cui l’amalgama diventa più tenue, più delicata, ma non meno suggestiva come nella splendida Right Turn On Red e nelle biografiche Maggio e a La Luna nel Pozzo (“…torno alla terra, alla casa e ad un abbraccio che riconosco…”).La sua voce è un aliante che, tra folate di vento e nubi di passaggio, solca un panorama su cui incombe il naturale mutamento e l’ombra.

Se Leonora avrà la meritata visibilità potrà ancora di più mettere a frutto le tante esperienze sinora attraversate, nuove autentiche gemme vedranno la luce. Comunque diafana.

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