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R Recensione

7/10

Chapel Club

Good Together

"Palace" venne accolto trionfalmente qui su SDM e andò bene anche su altre webzine italiane. Difficile però che la notizia sia arrivata ai Chapel Club, anche perché parliamoci chiaro, non è che la nicchia indie della stampa virtuale italiana implichi chissà quante copie vendute. Hanno invece bene in mente come, nonostante tutti gli sforzi (il contratto su major, la produzione di Paul Epworth, i numerosi video), la critica anglosassone sia rimasta alquanto indifferente. NME gli rifilò un miserrimo 6, Pitchfork addirittura lo ignorò. Neanche la soddisfazione di una stroncatura.

Il discreto numero 31 ottenuto nella classifica britannica stava evidentemente stretto alla loro label, che aveva profuso una certa energia nel sostenerli. E quando Lewis Bowman e soci si sono presentati con un progetto sostanzialmente elettronico, l'ovvia conclusione non poteva che essere lo scioglimento del contratto. Ci hanno messo diversi mesi per trovare qualcuno che li raccogliesse, tanto che i fan hanno a un certo punto temuto il peggio (non sarebbe certo stato il primo scioglimento prematuro, chiedere agli S.C.U.M): alla fine però è arrivato l'annuncio dell'arruolamento presso l'indipendente Ignition Records. Eccoci quindi con "Good Together" fra le mani.

Iniziamo dalla parte amara: i Chapel Club sono praticamente un'altra band. Non che ci sia niente di male nell'evolversi, ma personalmente preferisco l'evoluzione che abbia un senso, non quella che annienta quanto venuto prima. Persino Bowie (scomodo un gigante, ma almeno si capisce il succo) per passare da "Young Americans" a "Low" impiegò "Station to Station", che nei fatti è una via di mezzo. In questo caso i Chapel Club sembrano passati direttamente al terzo album: il disco è pure bello, ma ascoltandolo non si riesce a percepire un filo logico rispetto a "Palace".

Non c'è stata maturazione, c'è stato piuttosto uno stop. Facciamo finta che non si sia pubblicato niente e ricominciamo da capo. Un atteggiamento che personalmente non approvo perché fa venire meno la costruzione di un immaginario, di un'atmosfera, di un background che sostenga le pure e semplici vibrazioni sonore. Sono elementi importanti nella musica pop-rock, capaci talvolta di amplificare la portata emotiva di una canzone o di un album: smantellarli in questa maniera può risultare arma a doppio taglio.

Non paghi di ciò, i Chapel Club hanno pure calcato la mano, rilasciando interviste in cui fra le righe dicevano che "Palace" non fosse un granché e che quella di "Good Together" è la musica che volevano fare sin dall'inizio. Quanto credere a queste parole? Chi ci assicura a questo punto che al prossimo album - sempre che ci arrivino - non gli sentiremo raccontare la stessa filastrocca? L'impressione è semmai che vogliano accondiscendere la critica ottusa che tacciò quella meraviglia di "Palace" delle solite accuse superficiali che subiscono le band di quel tipo (sono derivativi, il post-punk, i Joy Division, bla bla bla: c'entrassero mai per davvero, quei poveri Joy Division).

Purtroppo ragazzi non è andata come prevista, dovrete accontentarvi di un'accoglienza tiepida anche questa volta. Sperando che ciò non vi porti a qualche decisione infelice, e sperando soprattutto che impariate a fare musica senza dare l'idea di sembrare dei furbastri opportunisti, cosa che decisamente non siete. Sappiamo che per le band indie-rock britanniche è un momentaccio (in casa triturate da un ingranaggio che gira a velocità disumana, all'estero maltrattate come non mai da una critica sempre più yankee-centrica), però è proprio in queste situazioni che andrebbe tirato fuori un po' di orgoglio anziché inginocchiarsi e chiedere pietà. 

Venendo al sodo, "Good Together" è un disco di indie-pop elettronico, suoni manipolati digitalmente, linee di basso suadenti. Chitarre quasi nulla (quanto mi mancano!), giusto qualche effetto liquido qua e là o un po' di acustica. Il cambiamento più sconvolgente però è la voce: si stenta davvero a riconoscere Bowman. Tutti falsettini e interpretazioni delicate, dove è stato risucchiato quel possente baritono capace di ergersi da solo contro il muro chitarristico di "The Shore"? A sentire il pop castrato di "Fruit Machine" e "Shy" viene davvero da domandarselo, al di là del fatto che i brani in questione siano senza dubbio pregevoli.

Sì, perché non è niente male questo "Good Together" alla fin fine, che gli possino. Certo non si può dimenticare il fatto che "Palace" ti stringesse il cuore, mentre qui si fischietta in leggerezza, ma fingendo di non conoscere gli intestatari, è innegabile un discreto standard qualitativo. Anche più che discreto, se prendiamo il magico e danzabile pop-folk di "Scared", che ricorda un pochino i momenti più orecchiabili dell'artista canadese Dan Snaith (aka Manitoba/Caribou), o la title-track.

Ecco, la title-track è il vero gioiello del lotto, il brano da consegnare al repertorio maggiore della band: dieci mutageni minuti di electro-pop malinconico che sfociano in una coda ossessiva da abbandono totale, degna erede della musica dance evoluta che qualche annetto fa vide fra i suoi nomi di spicco i vari Underworld e Orbital

Non rimane quindi che constatare come il talento ci sia ancora, ma anche come il momento per la band sia fra i più difficili. Speriamo che riescano a superarlo. 

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Voto degli utenti: 6,2/10 in media su 5 voti.
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sfos 7/10
4AS 6/10
cnmarcy 6,5/10
REBBY 6/10

C Commenti

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sfos (ha votato 7 questo disco) alle 12:34 del 24 giugno 2013 ha scritto:

D'accordo su tutto. Anzi, forse troppo d'accordo! Ho scritto questa recensione per Ondarock e certi passaggi sono molto simili

nebraska82 alle 13:38 del 24 giugno 2013 ha scritto:

"palace" mi era piaciucchiato abbastanza, questo non l'ho ancora sentito.

benoitbrisefer alle 17:38 del 25 giugno 2013 ha scritto:

Recensione ineccepibile. Certo che il sospetto che le scelte musicali dei CC siano artificiose e opportunistiche è tanta. Come pure la delusione.... se devo ascoltare musica elettronica di classe e raffinatezza superiori passo agli Austra (rece poco sopra). Non voto nemmeno... che senso ha?

4AS (ha votato 6 questo disco) alle 17:18 del primo luglio 2013 ha scritto:

Palace rimane grandioso, di questo critico non tanto la bruttezza (non è da buttare) quanto la consistenza. Trovo insensata la scelta di alleggerire il sound, di renderlo più solare per conquistare una nuova fetta di pubblico. Va bene ridefinire certi dettagli, ma così è troppo. I pezzi sono tutti gradevoli ma nessuno spicca particolarmente. Spero che vendano meno del primo, così si renderanno conto degli errori commessi

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 10:56 del 14 febbraio 2014 ha scritto:

Si incredibile, un'altra band, il cantante non può essere lo stesso. Più che una svolta elettronica una rivolta verso il loro passato. Probabile che rinnegheranno anche la loro cittadinanza, prendendo quella americana (molti brani lo fanno pensare pensare eheh).

Concordo con Federico anche per quanto riguarda la scelta dei pezzi migliori.

Un riesordio discreto, avevan fatto meglio anche per me nella loro precedente vita.