Trust
Joyland
Se i meriti sonori di TRST li avevamo dati quasi in toto a Maya Postepski, anima ritmica pure degli Austra e sperimentatrice electro in proprio come Princess Century, dopo questo Joyland bisognerà cambiare opinione, dal momento che i Trust si sono ridotti al solo Robert Alfons e il risultato, benché meno esaltante e con qualche differenza nei colori di fondo, è comunque notevole.
Il titolo già dice come Alfons metta da parte le ascendenze witch e gotiche degli inizi, abbandonandosi a un synth pop epico e massimalista. Joyland è da ascoltare e ballare a volume indecente. Lo esige, nonostante la depistante intro di Slightly Floating in parte usata come teaser pre-album faccia intravedere campate sonore più aeree e impalpabili. E invece no: Alfons, sin dalla successiva Geryon, si sfoga in un battito dance quadrato, puntellato da suoni solidi tra '80 e primi '90, senza via di scampo.
Più che nel debutto a fare la differenza tra un brano e laltro è linterpretazione vocale: Alfons passa dal suo baritono nasale a un falsetto più o meno vocoderizzato (molto, troppo, nella poptimistica title-track), lasciando scoperti i gradi intermedi. I salti, spiazzanti e a loro modo assurdi, danno lumore di un disco che trascorre dalla foga covata nel buio allestroversione euforica in continuazione, in un dispendio di energie che fa sudare soltanto allascolto, tanto più che ai modelli synth pop ottanta fanno da spalla reminiscenze euro-dance tutte da pista (notevole, in questo senso, Lost Souls/Eelings). Capitol, allora, sembra partire da un pezzo da party dei Pet Shop Boys era-Very, prorompendo poi, tra giochi di accordi tenuti scuri e arrampicate sgargianti, in un ritornello che è un puro trionfo e in una coda loud fino alloltraggio (peccato che questa struttura-canzone sia replicata da tutti i pezzi del disco: i migliori allenatori sanno anche cambiare schema).
E in un disco a lettere maiuscole dallinizio alla fine poche sono le tregue e i rallentamenti: niente Candy Walls, dunque. I toni introversi sono banditi. Solo la prima parte della midtempo Are We Arc? e lottima conclusione di Barely (forse la melodia migliore trovata da Alfons: si poteva darle più spazio) non picchiano dure per tutto il tempo e non debordano di bleeps, bassi crostosi ed effetti in cascata: il resto è tutto così, rumoroso, torrenziale, sporco, ingombrante (Icabod e Rescue, Mister sulle altre). Che non rima necessariamente con esaltante. Bravo Alfons a usare bene gli strumenti del mestiere per fare un disco che resta addosso non soltanto per i timpani dolenti.
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