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7/10

Le Maschere di Clara

L'alveare

Le Maschere Di Clara vengono da Verona e sono Lorenzo Masotto (voce, basso e pianoforte), Laura Masotto (voce e violino elettrico) e Bruce Turri (voce e batteria), tutti appassionati di rock con studi classici alle spalle. Son tornati quest’anno (dopo “Anamorfosi” del 2011) con un disco in formato vinilico pieno di buone intenzioni, perlopiù mantenute nei fatti. Quel che a primo acchito può sembrare l’ennesimo disco di pop underground si rivela un intricato coacervo di distorsioni rock e fantasie prog, di poetiche citazioni e storie emozionanti. La band si descrive postclassica, volendosi forse slacciare dal classicismo accademico e ponendosi al contempo in un frangente successivo al neoclassicismo, termine che, almeno in musica, fa pensare al rock progressivo o alla jazz fusion. È innegabile che la natura del sound de Le Maschere Di Clara sia assimilabile a buona parte dell’epopea progressive italiana degli anni Settanta, con echi più o meno incisivi di band come Cervello, Picchio Dal Pozzo, Cherry Five, Dalton, Semiramis e Museo Rosenbach.

L’Alveare” comincia dunque con “Rasoi Di Seta”, dedicata alla Merini, la poetessa della diversità e delle lacrime: il brano si presenta musicalmente pieno, con il pianoforte che sempre più cede spazio all’irruenza del violino e del violoncello; a livello autorale è chiaro l’intento esistenziale del pezzo nei versi: «Se sento colpa, / illusa acerba lacrima / muore placida. / Si dissolverà / così profonda, / calma come l’aria». La seconda traccia, scelta per il lancio del disco, è “A Sé Stesso”, dedicata a Leopardi, l’immenso cantore del nulla che lascia spazio alla speranza, un nichilista ante litteram: il brano, coinvolgente, fa persino uso del quartetto d’archi, classico per antonomasia, ma ne sporca la purezza con distorsioni rock di notevole impatto. È la volta di “Forse Il Cuore”, dedicata a Quasimodo, il poeta classico ed ermetico ad un tempo: un brano muscoloso e arrabbiato che nel testo ricorda il miglior Endrigo. “Il Fu Mattia Pascal” è ovviamente ispirata allo scrittore filosofo Pirandello, un brano postclassico che prende spunto dal “Quintetto in mi bemolle maggiore” (1842) di Schumann per approdare ad una forma-canzone tipicamente prog.

Il lato A del disco termina con “Se questo è un uomo”, chiaramente ispirata a Levi, il sottile narratore dell’olocausto che mai superò il trauma di quella disumanità: il brano è quasi math-rock e si divide tra spoken word e coro, producendo una lucida riflessione sull’intimo buio dell’essere umano; l’omaggio musicale è qui all’aria “Lascia ch’io pianga”, tratta dal “Rinaldo” (1771) di Händel. Il lato B comincia invece sulle note di “Satura”, dedicata a Montale, un altro grande poeta dell’emarginazione e della solitudine: la canzone della band veronese è però un omaggio al balletto “Romeo e Giulietta” (1935-36) di Prokof’ev. Arriva il “Notturno” dedicato a D’Annunzio, il vate del piacere e dell’audacia, in un componimento docile e romantico, comunque bellissimo. Dedicata al geniale Calvino è invece “Collezione Di Sabbia”, un brano ispirato al Jarre di “Lawrence d’Arabia” (1962). Chiude il disco la lunga “Fatti non foste a viver come bruti”, citazione dantesca in cui è possibile sentire l’affascinante Gassman che declama i versi più belli dell’italico genio.

Le Maschere Di Clara hanno saputo carpire dall’immensa fucina della cultura italiana i concetti più importanti e profondi, così come sono riusciti a coltivare un fiorellino tra le macerie del classicismo musicale europeo. In bilico tra rock alternativo e progressivo, il progetto LMDC è davvero interessante ma c’è da fare ancora un po’ di strada da percorrere per perfezionarne il lato canoro. Un disco comunque prezioso.

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