R Recensione

7/10

Swan Lake

Enemy Mine

In Canada devono avere pochissime distrazioni. Niente cinema, niente calcio (esiste una nazionale canadese? Rabbrividisco solo al pensiero), niente tv in cui danno il calcio, niente playstation, niente corse in bici (fa freddo, boja), niente footing (niente donne?). E allora si suona (quelli che sanno farlo), si suona sempre, da novelli Stachanov, si suona in almeno quattro band diverse, e si pubblicano dischi cercando di tenere i ritmi di Bonnie Prince Billy. Eroi.

Gli Swan Lake sono uno dei tanti supergruppi canadesi, intersezione di una tale serie di altre band, tutte più o meno catalogabili nel correntone indie rock, da far venire il mal di capa. La formano Dan Bejar (Destroyer, The New Pornographers), Spencer Krug (Wolf Parade, Sunset Rubdown, Frog Eyes), Carey Mercer (Frog Eyes, Blackout Beach). Debuttano nel 2006 con un disco (“Beast Moans”) piuttosto schizoide, in cui tanti erano gli spunti disparati e tante le occasioni perse, e ora pubblicano un seguito che certamente convince di più, per compattezza e ispirazione.

Nove canzoni, tre ciascuno. Ma tutti cercano di completare il mestiere dell’altro, sicché non rimane l’impressione di un lavoro troppo eterogeneo. Certo, i tre personaggi in questione non sono sicuramente noti per la scrittura lineare: storture, asimmetrie, cambi di ritmo, deviazioni, ingarbugliamenti sono nelle corde di Bejar-Krug-Mercer com’è vero Iddio, e che almeno stavolta l’incontro dei loro svalvolamenti dia vita a un disco che si regge in piedi con solidità è quantomeno stupefacente.

Per averne le prove, basta ascoltare il terzetto iniziale, entusiasmante: “Spanish Gold, 2044” (Mercer) è (space-)rock abrasivo e storto, capace però di raddrizzarsi in cavalcate di rumore eccellenti; “Paper Lace” (Krug) denuda un pezzo che potrebbe essere dei Wolf Parade più pop, trasformandolo in una ballata art-folk cullata dall’organo; “Heartswarm” (Bejar) è una parentesi nostalgica addirittura radiofonica, che il piano e la voce di Bejar riempiono di un decadentismo quasi british (vedi anche “A Hand At Dusk”). Oh, poi gli Swan Lake psicotici e deliranti ci stanno sempre (“Settle On Your Skin”, “Warlock Psychologist”), ma anche in questi casi ci sono melodie che spiccano, soli di piano o chitarra che danno coesione, synth che sporcano senza scompaginare, passaggi memorizzabili al secondo ascolto (!). E, insomma, un mucchio di bei momenti.

Sicché, a esser sinceri, non si capisce più quale sia il side-project e quale il gruppo madre, perché ‘sta gente riversa buonissime canzoni ovunque (vedi anche l’ultimo Handsome Furs), quasi avesse le mani bucate. E forse qui, direi, ce ne sono più che altrove, perché anche “Battle of a Swan Lake, or, Daniel’s Song” (ballatona ubriaca), “Peace” (nevrotico colpo di coda di Mercer) e “Spider” (esaltante il riff finale) fanno la loro porca figura.  

Speriamo che in Canada non si accorgano di avere qualcos’altro da fare. A noi questi sgobboni, finché sgobbano così, piacciono da matti.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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REBBY 7/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 16:35 del 31 marzo 2009 ha scritto:

Si. Meno male che c'è il Canada altrimenti in

questo periodo sarebbe ancora più dura la vita

di un ascoltatore bulimico di nuove uscite.

Questo l'ho ascoltato per ora solo una volta sabato scorso e non sembra niente male, come dice Francesco. Paper lace è il brano che mi ha più

colpito.