R Recensione

6/10

Takka Takka

We Feel Safer At Night

Gioventù americana d'altri tempi (nella miglior accezione del termine) si potrebbe dire dei Takka Takka, che a partire dal loro epiteto, mutuato da un dipinto del geniale pittore di pop-art Roy Lichtenstein, riportano orgogliosamente alle nostre orecchie quel modo di far musica che ruotava attorno ad un altro grande genio della modernità, Andy Warhol ed i suoi beniamini, i Velvet Underground.

Le prime tre canzoni di questo brillante disco d'esordio autoprodotto, "We Feel Safer At Night", "Coco on the corner" ed "Enough" (basta ascoltare i primi trenta secondi di quest'ultima e quelli di Rock & Roll dei V.U. per rendersene conto..) sembran attingere marcatamente dalla colonna sonora della Factory come dai Modern Lovers di Jonathan Richman. Ma c'è di più, una sorta di consapevolezza nel concepire canzoni e testi immediati e semplicissimi, senza il peso dovuto al percorso innovativo o di derivazione avanguardistica. Sembrano piuttosto lasciarsi trasportare dall'amore per quei suoni trascorsi ed il sano gusto di reinterpretarli e riproporli animatamente, parlando dei problemi di tutti i giorni che ora come allora affliggevano i giovani artisti.

Musicalmente parlando non manca nulla, c'è il clap-clap, la batteria spesso e volentieri a marcetta, spogliata della gran cassa, la chitarrina a tre accordi dalle pennate reiterate e spezzettate, la tastierina ridotta all'essenzialità, l'armonica a bocca e qualche vezzo sotterraneo elettronico in più.

"Joshua And The Professor" e "Living Out Of Trouble" si avvicinano alle sonorità delle ultime produzioni di Malkmus &Co. con il supporto del pianoforte e della chitarra acustica e l'immancabile vocina flebile piacevolmente fuori tono nella prima, ed una vivacissima armonica suonata a gran fiato sino dall'introduzione, nella seconda.

"Sofia" si orienta tra il liricismo svogliato di Dump (il gruppo da solista di James McNew degli Yo la Tengo) ed i Pavement più intimisti; "The Built Up Too Fast" è una slow track canticchiata, ornata da schiocchi di dita, battiti di mani e coretti di "lalala"; "She Works In Banking" è forse una delle più personali, assieme a "Fever" ed all'ultima brevissima strumentale "The Native Astronaut Grows Restless", anche se si percepiscono chiare influenze (per loro stessa ammissione) di un'altra storica band newyorkese sorta sul finire degli anni settanta: i The Feelies.

Certamente è sempre di pop che stiamo parlando, e di quello fatto per esigenza e per passione, e possiamo star certi che se ci capiterà di riascoltare questo "We Feel Safer At Night" tra altri quarant'anni di sicuro non parleremo di rivoluzione musicale, ma sicuramente di genuina e ben concepita devozione e di mimesi ben condotta nei riguardi di chi già aveva fatto la storia (inconsapevolmente?) molti e molti anni prima.

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