R Recensione

6/10

Marmaduke Duke

Duke Pandemonium

Di certo non lascia il tempo di respirare questo secondo capitolo degli scozzesi Marmaduke Duke.

Duke Pandemonium n.2 in studio della trilogia iniziata da Jp Reid e Simon Neil nel 2005 con “The Magnificent Duke”, non trova e non dona mai sosta per una riflessione. Certo è che si tratta di un ottimo prodotto da dancefloor e di un buon dischetto pop sperimentale (che preferisco ai più impegnativi “Alt Rock” e “conceptual rock”) intriso di ellettrofunk e indierock (quell’indie che sollazza ballerini incravattati e groupies d’aperitivo per intenderci).

La drum machine nell’iniziale “Hearburn” descrive abbondantemente (osiamo?) la volontà del terzetto di far musica per “far ballare qualcosa di decente alle ragazze” (riprendo questa celebre frase di Alex Kapranos dei Franz Ferdinand in merito alla loro decisone di fare musica..) piuttosto che muoversi verso la ricerca di suoni accattivanti ed innovativi. “Everybody Dance” non può che confermare quanto detto sinora come anche “Music Show” (una delle migliori del disco), dove una chitarra puntinista si aggira tra riff elettronici e giovani frasi di ribellione.

Kid Gloves” sembra voler rallentare il ritmo muovendosi bene tra la folla sonora del “Pandemonium” dei Duke, canzone che dà nome al disco in analisi e che esapera l’andazzo preso tra elettronicismi e campanacci funkeggianti .

“Erotic Robotic” è aperto da un virtuosistico e piuttosto obscuro assolo di chitarra incalzato da un testo semi-rappato, la canzone si trasforma un paio di volte, e come spesso accade nell’ascoltare i Marmaduke a convincermi è sempre e soltanto la coda.

Il francesismo presente in “Je suis Un Funky Homme” mi invoglia all’ascolto, ma il ritmo forsennato e isterico che contraddistingue la prima parte del pezzo mi guida malvolentieri verso all’epilogo dove una chiusura semiacustica conferma la tesi avvalorata poc’anzi.

Davvero niente male “Rubber lover”, popsong delicata e molto funkytown, con tanto di cembalino e ritornello contagioso. Ma come da premessa non si fa in tempo a rilassarsi che si viene sovrastati dallo slogan “Skin The Mother Fucker’s alive” pronunciato da una voce alla Malefix (per chi non lo sapesse, fatevi un bel ripassino dei Ghost Busters, ma attenzione, quelli con Grunt la scimmia per intenderci…) nell’omonima canzone di chiusura, che è forse anche spiaggia ultima per giudicare senza troppa emotività un disco remotissimo dalle migliori produzioni oltreoceano di Orsi, Panda e Animaletti vari.

Chi vuole intendere intende, anche perché forse è proprio il sottoscritto a non concepire un mondo che esuli da tamburelli colorati, clap-clap pastellosi e teen band spensierate.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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motek 7/10

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