Gravenhurst
The Western Lands
Che Nick Talbot fosse uno a cui piace giocare con le tonalità più chiaroscurali del folk era cosa già nota: a dimostrarlo ci sono un paio di uscite sotto la sigla Gravenhurst per conto dei tizi della Warp, quadretti semi acustici sulle tracce dei nomi più luminosi della scena folk inglese, Fairport Convention e Nick Drake su tutti.
Che Nick Talbot fosse anche un accanito fautore delle sonorità dream pop era pure chiaro: si ascoltino le sue produzioni assieme agli Assembly Communications, gruppo proiettato nell'orbita di formazioni più celebri come Flying Saucer Attack e Third Eye Foundation, almeno fino al 1999, anno in cui la tragica scomparsa di un membro della band ha posto fine al progetto.
Che Nick Talbot sarebbe stato in grado di mettere così meravigliosamente assieme tutte le sue passioni musicali in unico disco, no, questa non era cosa facile da prevedere. Eppure, davvero, questo The Western Lands rappresenta la proverbiale quadratura del cerchio: Talbot non rinuncia, come annunciato, agli accentei dolenti che ne contraddistinguono, ormai da anni, la produzione musicale, ma riesce, per la prima volta a traghettarla in strutture dall'invicibile suadenza pop.
Saints, ballata semiacustica dalle fascinazioni Radioheadiane e dalla lugubre flemma folk, è dichiarazione d'intenti più che esplicita: si tratta di immergersi in un suono caldo ma placidamente lacerante, prendere o lasciare.
She Dances cambia passo ma rincara la dose: passo meccanico, intrecci di chitarra-batteria vicini a certo post rock e una malinconia tutta inglese che, ancora una volta, ci riporta alla mente il gruppo di Yorke e compagnia.
Il disco ha mostrato comunque, finora, solo una delle sue mille facce: con Hollow Men i Gravenhurst mettono in scena uno splendido omaggio al signor Kevin Shields e alle sue muraglie di suono con un noise pop dalla posa muscolare ma dall'animo fragile, in Song Among The Pine pare di sentire i Kings Of Convenience duettare in un'impossibile team up con i Fairport Convention, Trust riporta alla mente le ovattate pagine sonore dei Cocteau Twins, con la mano salda di chi è cresciuto con i dischi della 4AD sottobraccio.
E non finisce qui: c'è anche l'inaspettato mariachi di The Western Lands, Farewell Farewell tenta un altro duetto impossibile, questa voltra tra i My Bloody Valentine e Simon & Garfunkel (?), Hourglass è un altro splendido esempio di drammaturgia pop inglese, mentre in Grand Union Canal paiono fare capolino, dietro le quinte, i meravigliosi Dirty Three. Chiude The Collector , spoglia e minimale, mentre passano sullo sfondo i titoli di coda.
E se ancora non l'avete capito ve lo ripetiamo più esplicitamente: si tratta dei titoli di coda di uno splendido film.
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