R Recensione

6/10

The Blue Van

Dear Indipendence

Dear Indipendence, si intitola questo secondo tentativo dei danesi Blue Van, quasi un moto d’orgoglio per un gruppo che dalla stampa musicale è sempre stato preso a schiaffi. Inspiegabilmente. Perché già all’uscita dell’esordio, un paio d’anni fa, in pieno garage rock e sixties revival, quando i nomi con il “The” davanti erano ancora cool, loro, pur essendo apparentemente al posto giusto nel momento giusto, venivano accolti dal gelo. Troppo derivativi, troppo poco personali, si diceva, mentre nel frattempo i Jet venivano portati in trionfo da pubblico e critica.

Figurarsi ora, che verso questi suoni comincia a serpeggiare un comprensibile sentimento di fastidio, con gli alfieri del new rock che crollano come birilli alla prova del secondo disco (neanche al terzo, ormai, si arriva più) e che si comincia a guardare giustamente altrove, figurasi, come può essere accolta la rentree del gruppo.

Ma i Blue Van non si limitano ad accennarlo nel titolo, la ribadiscono nella terza traccia, la quasi omonima Indipendence, sull’onda di una luccicante farfisa e sommersi da coretti d’altri tempi, la loro caparbietà e ostinazione nel continuare a rispolverare i suoni del rock anni ’60 inglese.

Felicemente adagiati sulle spalle dei giganti sfoderano una discreta carica melodica, e un approccio ossequioso ma ammirevole alla materia, a far rivivere le immortali cantilene dei Kinks, il rhtyhm’n’blues di Them e Small Faces, il blues rock dei Cream e dei Doors, ereditando dalla lezione del primo garage rock, che peraltro agli stessi gruppi guardava, la capacità di distillarne l’essenza in immortali sequenze di accordi killer, riprendendone la capacità di sintesi se non le ruvidezze.

Non ti fanno mai strappare i capelli per l’entusiasmo, questi danesi, ma ti accompagnano per tutta la durata del disco senza mai fare un passo falso, inanellando senza soluzione di continuità una bella trafila di potenziali singoli e macinando con classe un piccolo ma fondamentale fazzoletto di storia del rock. Dimostrando, insomma, di saper maneggiare la materia. Che francamente è già molto di più di quanto si possa dire di tanti blasonati gruppi new rock, baciati da una sorte ben più lusinghiera.

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