V Video

R Recensione

7/10

Alarmist

Sequesterer

La descrizione più calzante della musica degli Alarmist viene fornita da un commento che un utente di YouTube, con esilarante precisione, appone in calce ad un’esibizione live di “Expert Hygiene”: “This sounds like they threw all their instruments down a flight of stairs and hit every note on the way down”. Guardando il video ed ascoltando il pezzo non è difficile capire perché: su di una matematica ossatura ritmica vicina più all’elettronica intelligente dei 2000 che alla trigonometria chitarristica del decennio precedente, da un giocattoloso tema portante space-fusion erompe un serratissimo ping pong strumentale fra tastiere e chitarre, in un affastellarsi di fraseggi sempre più distonici e nevrastenici, costantemente suonati in equilibrio precario, sul filo del rasoio. Il paragone più immediato, a proposito di grandi ritorni (sperando lo siano davvero), è quello coi Battles formato Tyondai Braxton, specialmente quelli della trilogia di EP “Tras” – “B” – “C”: inclassificabili e imprendibili ingranaggi di funambolismo geometrico oltre ogni steccato di genere. Fatte le dovute proporzioni, in “Sequesterer” (registrato ad intermittenza tra il 2017 e il 2019, a quattro anni di distanza dall’esordio “Popular Demain”) succede qualcosa di molto simile: una lectio magistralis in caos regolamentato.

La differenza fondamentale, come spesso accade, è qui data dall’indiscutibile qualità della scrittura. Lungi dal mascherare col virtuosismo una sostanziale incapacità di organizzare il proprio pensiero in forme stilistiche coerenti, i tre dublinesi scrivono un’opera di densa levità, ponderando ogni dettaglio in relazione ad una struttura superiore. L’introduzione con “District Of Baddies”, meravigliosamente ambiziosa, segna già un primo spartiacque nel disco: un elaborato bolero per la generazione Warp che – nel suo avvoltolarsi tra spire sintetiche, quadrature arpeggiate e sbilenche melodie che sminuzzano ed inquinano l’algidità cool di certi Jaga Jazzist – va a lambire certe soluzioni recentemente proposte dai nostri NoHayBanda!. Le sorprese sono appena all’inizio: se “Bronntanasaurus” digitalizza ed espande un fraseggio bebop a beneficio di un funk con la sordina, “Boyfriend In The Sky” è un girotondo astrale che ruota su di arabescate armonie per chitarra jazz (suonate su scansioni irregolari vagamente reminiscenti dei Don Caballero d’inizio millennio), “Life In Half Time” un valzer azzoppato per piano preparato, sax e clarinetto e la conclusiva “Nvymr” un delizioso scrigno di ovattati fraseggi fra Tortoise e il recente revival emo-math d’Albione (altezza TTNG, per capirci).

Tolto qualche passaggio fin troppo su di giri (per chi scrive, il pirotecnico art pop di “Kalite Quest”, che gioca di fino coi preziosismi rimanendovi invischiato), siamo di fronte ad un disco di fattura indiscutibile. Dopo i Town Portal, una delle rivelazioni dell’anno in corso, altra conferma di peso per l’interessantissima label indipendente Small Pond.

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