Motorpsycho
Heavy Metal Fruit
È una domanda ciclica, che a colpi scompare, a tratti riaffiora: ma il venerabile Russ Meyer, dallalto del suo voyeuristico trono di regia, quante tette avrà mai avuto modo di vedere? Uninfinità, sicuramente. Una lunga scia che parte da Faster, Pussycat! Kill! Kill! e si sublima idealmente in Mondo Topless, roba che il nomen omen va a nascondersi dietro una cisterna dacqua. Ebbene, se ad ogni visione mammellare corrispondesse una relativa intuizione inventiva, i Motorpsycho o ci stanno dando dentro con una certa filmografia, o stanno subendo il fascino delle groupies fin su, nella loro algida Norvegia. Terzo disco in due anni, quattordicesimo in totale, ad appena sei mesi dal precedente Child Of The Future, che completa il quadro assieme al devastante Little Lucid Moments del 2008. Una maratona. Tuttaltro che sfiancante. I tre scandinavi, con grazia del barrique, diventano più appetibili man mano che il tempo passa: non necessariamente più vari, né più innovativi, semplicemente sempre più efficaci.
Per descrivere Heavy Metal Fruit, la Rune Grammofon alla faccia della sintesi usava magniloquenti giri di parole: Here we get metal, classic rock, moogs, mellotrons, prog, psychedelia, westcoast harmonies and jazzy instrumental parts, ad esempio. Cosa di vero? Tutto. Tutto quello a cui, guardando bene, i Motorpsycho ci hanno abituato da una decade abbondante a questa parte. Una mistura pantagruelica dove confluisce ogni ingrediente tipico del loro suono, che si era fatto più complesso e spigoloso in Little Lucid Moments, a tratti acidissimo e free su Child Of The Future. Non che, daltro canto, i sessantadue minuti del disco siano inferiori, per strutturazione e demarcazione, a qualcosa del passato. Suoneranno forse non nuovi a chi si è largamente foderato le orecchie di questi elementi, appariranno come giganteschi agli adepti dultimo corso, ma ciò non intacca, da un punto di vista obiettivo, la validità di quanto qui inciso.
Non a caso, ci serve un minuto e mezzo di quiete totale prima che Starhammer, con la collaborazione degli Electric Psalmon, accenda i motori e cominci a disgregarsi, sulla scia di uno space rock galattico riannodato più volte attorno alleffettistica della chitarra di Hans Magnus Ryan. Da qui in poi, più nessuna tregua: bombardamenti di suono continui, mutevoli, lussureggianti, colate strumentali alternate a durezze maschie figlie del loro vecchio tempo. Il semplice, selvatico rocknroll di X-3 (Knuckleheads In Space) che guarda in fronte, con un unico, fluente medley, The Getaway Special, psichedelia disciolta in acidi cool jazz che non sentivamo dallo split del 2003 coi Jaga Jazzist (ed infatti, chi cè alla tromba se non un certo Matthias Eick?). Manca qualcosa? Ovviamente: Close Your Eyes stoppa il ritmo, voce e pianoforte per una ballata vicina, forse, alle armonie beatlesiane, sicuramente agli ultimi Porcupine Tree, ed è stretta da una ferale doppietta come The Bomb-Proof Roll And Beyond (For Arnie Hassle), onirica visione settantina poi esplosa in mille, violentissime scudisciate metalliche, e W.B.A.T., quasi dieci minuti giocati in totale anarchia, aperti come un Marc Ribot qualsiasi, od il Jimi Hendrix di Voodoo Chile, a contatto con una certa strafottenza stoner. Manca qualcosa? Ovviamente ( labbiamo già detto?): i cinque atti di Gullibles Travails, ventuno, granitici minuti più vicini che mai, per incastri, giochi elettrici ed acustici, rincalzi tastieristici e martellanti linee di mellotron al progressive rock dantan, non indispensabili per un compendio per così dire finale, ma spettacolari e sussultanti come il ruggito dei folli centauri meyeriani di fronte alla cinepresa
M.B.
Si potrebbe disquisire mesi interi su qualunque argomento. Con un po di fantasia e con il pieno rispetto del principio (ormai desueto) che stabilisce lequità tra i pareri discordanti, sarebbe possibile intavolare discussioni infinite praticamente su tutto. Anche, che ne so, sulle tette (la prima cosa che mi è venuta in mente, ammesso che se ne fosse mai andata). Piccole, grosse, a coppa, a pera, vere, finte
Anzi, a pensarci bene, le tette (come qualsiasi altra cosa, ma in questo momento mi va di scrivere tette) possono assurgere a paradigma di una tipica (benché riduttiva) classificazione bipolare: da un lato la semplicità, la praticità e il fascino discreto di una misura ghiandolare ridotta, sostenuta, agile ed elegante. Una misura che nella sua funzione estetica e quasi professionale non ha necessariamente bisogno di essere autentica ma semplicemente di avere una forma che sia riconducibile a determinati parametri (il palmo della mano, secondo alcuni). Dallaltro lato, un formato abbondante, opulento, esuberante, rigoglioso. Un formato per certi versi anarchico che traendo bellezza dalla sua quantità - non necessita di altre regole se non proprio quella dellautenticità, dellatavica corrispondenza tra foggia anatomica e relativa risposta alle leggi della natura.
Ecco, i Motorpsycho, dopo aver tentato per ventanni (spesso riuscendoci) di incanalare la propria esuberanza musicale in canoni più o meno rock (basti pensare a quel capolavoro che fu Angels And Daemons At Play ed alla definitiva concretizzazione rock di Let Them Eat Cake, a cavallo tra vecchio e nuovo millennio), dal 2005 in poi decidono di abbandonarsi alla loro passione, senza più mediare il desiderio con il dovere.
Un risultato invidiabile perché pacificante, liberatorio. Black Hole / Blank Canvas (2006), Little Lucid Moments (2008) e in misura minore il recente Child Of The Future (2009) hanno riconsegnato una band che lascia agli altri il compito di aggiornare ed arricchire il vocabolario del rock indipendente per dedicarsi ad un linguaggio che si nutre di suoni ed atmosfere del passato, interpretati con una passione ed una personalità che potremmo definire uniche senza timore di essere smentiti.
Heavy Metal Fruit è un monolite sonoro suonato e assemblato con disarmante padronanza. Dallo stoner rock (più Blue Cheer che Kyuss, in realtà) dellapertura Starhammer, ricca di rimandi a certe sonorità proprie degli ultimi Jaga Jazzist (grandi amici dei rockers norvegesi), fino ai venti minuti della suite finale Gullibles Travails, che lungo i quattro movimenti dei quali si compone esplora con maestria quasi tutto lo scibile rock, dallo space rock al prog (da brividi il duetto centrale tra Bent Sæther e Hanne Hukkelberg), dal post rock (il crescendo del terzo movimento) ai maestosi arrangiamenti orchestrali del finale. Cè davvero tutto in questo calderone-Motorpsycho, una vera e propria orgia sonora condotta da chitarre e sostenuta da ritmiche mai così heavy (X-3 (Knuckleheads In Space) / The Getaway Special) eppure capace di generare armonici connubi tra chitarre circolari figlie dei Black Sabbath e destrutturate improvvisazioni jazz (W.B.A.T).
Poi, a voler fare gli snob, si potrebbe dire che X-3 (Knuckleheads In Space) cita apertamente gli Who ed imbarazza un po (con quel coretto che più che heavy è solo metal), che lo spettro dei Pink Floyd rende la ballata Close Your Eyes una presenza del tutto pleonastica e che il disco nella sua interezza non brilla certo per originalità.
Ma sicuramente questo ai Motorpsycho non importa. A loro sicuramente piacciono le tette abbondanti, naturali e voluttuose. Daltra parte quel nome lo avranno scelto per un motivo, i Russ Meyer del rock.
F.C.
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