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R Recensione

6,5/10

Sacri Monti

Waiting Room For The Magic Hour

La tratta ferroviaria che collega Oslo a Bergen dovrebbe essere inclusa nella lista di esperienze da fare almeno una volta in vita. Il viaggio in treno è piuttosto lungo (otto ore), specialmente se si considera che le due città sono separate da meno di 500 km: ma ogni secondo trascorso a bordo, prezioso come l’oro proprio perché dilatato, vale un’eternità. Si taglia in due la Norvegia, quasi da costa a costa, attraversando paesaggi così belli (e così inusuali per noi italiani) da non sembrare veri: si costeggiano ampi boschi di conifere, lambendo cottage a picco sui fiordi e immoti specchi d’acqua dolce, snodandosi per distese di campi coltivati a graminacee e risalendo rilievi montuosi la cui morfologia sembra avvicinarli a landscapes marziani. Come visitare dieci paesi in uno. Quando si arriva a destinazione lo stato è mutacico, gli occhi pieni di meraviglia.

Lo scorso mese, percorrendo la Oslo-Bergen, girava in cuffia il secondo disco dei giovani psych rocker californiani Sacri Monti (“Waiting Room For The Magic Hour”), tra gli ospiti internazionali più attesi dell’edizione celebrativa per il ventennale del Curtarock. Per qualche istante, bisogna essere sinceri, ammetto di non essere riuscito a capire se quanto stessi ascoltando mi piacesse di per sé o in esclusiva relazione sinestetica con quanto vedevo. Ricordo ancora che i primi accordi flangerati di “Fear And Fire” attaccarono nel momento in cui al blu dell’acqua si era sostituito il verde della vegetazione, l’inizio di un bosco che poteva trovarsi a Flå o nei dintorni di San Pietroburgo: il soffuso organo di “Affirmation” oltre alcune colline leopardiane; la conclusiva “You Beautiful Demon” da qualche parte tra Ustaoset e Finse. Impossibile, con queste premesse, esprimere sul momento un giudizio razionale, ponderato. Difficile, d’altro canto, non prestare attenzione al fondato sospetto che qualcosa, oltre la fascinazione estetica, alimentasse l’interesse verso la sola musica.

La verità, come spesso succede, sta nel mezzo. Il quintetto di San Diego, cresciuto tecnicamente e stilisticamente sui palchi di mezzo mondo prima ancora che in studio di registrazione, non è ancora annoverabile tra i grossi calibri di genere: influenze esibite in maniera un po’ troppo esplicita (la summenzionata “Affirmation” è figlia di una copula neopsichedelica tra “A Whiter Shade Of Pale” e “Epitaph”) e alcune scelte gestionali ancora poco chiare (non ben definito e scarsamente curato, in generale, l’aspetto vocale, al momento una propaggine ancillare al parco strumentale) ridimensionano la portata di un disco che, dalla sua, vanta comunque una discreta varietà e una sincerità d’intenti palese sin dal secco Hammond boogie della title track (il cui prossimo termine di paragone contemporaneo è con i mai dimenticati Assemble Head In Sunburst Sound). Tra l’insistito montante dell’inciso acid di “Armistice”, il ruvido scatto hard-prog in coda alla malinconica “Starlight” (con una non immacolata alternanza di schemi ritmici) e le fitte nebbie psicotroniche di “Wading In Malcesine”, spiccano i quasi nove minuti di “Fear And Fire” (una vigorosa cavalcata chitarristica che smorza le impetuose digressioni elettriche degli ultimi Colour Haze in un intenso melodismo tardo sessantiano) e il folk doorsiano della conclusiva “You Beautiful Demon” (con il giro portante di acustica che richiama, non troppo curiosamente, “Watersound” dei Motorpsycho).

E d’accordo: forse i Sacri Monti, scrivendo i brani di “Waiting Room For The Magic Hour”, avevano in mente i tramonti mozzafiato della West Coast, non quelli che illuminano gli scogli dei fiordi. Poco male: l’effetto è comunque garantito.

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