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R Recensione

8/10

Meganoidi

And Then We Met Impero [EP]

And

Uno a zero per noi, yeah”. Nell’infinitesimale dimensione temporale di questo orripilante inciso si consuma uno degli strappi più eclatanti e coraggiosi di tutto il rock italiano, una delle svolte meno previste e prevedibili di sempre. Per le strade della loro Genova, in quel torrido luglio, si cantano “Supereroi” e “Nazigoliarda”, si balla a ritmo di ska, si lanciano strali contro la globalizzazione: almeno finché lo stato di polizia lo permette. Poi, tutto precipita: un ragazzo riverso a terra col cranio fracassato, una scuola adibita a rifugio e trasformata in mattatoio umano, una caserma che custodisce i segreti di orribili sevizie fisiche e psicologiche. Non c’è più niente da cantare, nulla su cui ballare. Il disco è rotto, l’ingenuità infranta, violata per sempre. L’Italia del Berlusconi II si riscopre fragile, indifesa, spaesata: e con lei i Meganoidi.

Then

I germi del cambiamento avevano già attecchito in “Outside The Loop, Stupendo Sensation” (2003): un disco certo importante – il difficile riconoscimento del proprio ruolo di “ingranaggi” all’interno di un sistema parallelo, non meno oliato rispetto a quello “ufficiale” – ma, con il senno del poi, anche un lavoro di transizione, una crisalide di oggettiva ed ancora imperfetta bellezza. È in “Zeta Reticoli” che si intravede quel passaggio di stato – qualcuno parlerebbe, a ragion veduta, di psichedelia – che, passando per la cupa wave cantautorale di “Granvanoeli” (2006), porterà poi al rilevante “Al Posto Del Fuoco” (2009): la tromba di Luca Guercio descrive anziché semplicemente incalzare, le maglie chitarristiche si espandono e dilatano, i pattern ritmici maturano e si diversificano. Rem tene, verba sequentur: una volta individuate le primissime tendenze, qual è esattamente l’anello di congiunzione formale tra il primo e il secondo periodo dei Meganoidi?

We

Sei in un corpo solo: così suona la band di “And Then We Met Impero”. Fate finta che il postmoderno non sia mai esistito ed immaginatevi Robert Fripp chitarra trainante dei Minerals, i Fluxus in viaggio di piacere a Seattle o, in alternativa, i Pink Floyd a jammare con gli Slint: difficile, vero? Ancor di più se la proposta viene da un gruppo che, fino all’altro giorno, si era abituati a trattare ed ascoltare con la condiscendenza di chi tollera sporadiche interferenze frivole nel proprio monolitico orizzonte di gusto. Dal nulla, come sempre in questi casi, il fulmine. Ciò che non dovrebbe esserci, eppure c’è. Il rock in opposition nasce, sul finire degli anni ’70, come reazione avversa alle logiche di profitto che – prima ancora che la stessa musica – inquinano la società. In questo senso, “And Then We Met Impero” è il manifesto rock in opposition dei Meganoidi, la colonna sonora ideale per affrontare il disfacimento di un mondo e la nascita di un altro, ignoto, terribile.

Met

Venticinque minuti che valgono una carriera, un attacco fulmineo: l’elaborato arabesco chitarristico che apre “And”, regolarità dello schema ritmico a parte, sembra uscito da una delle tante fucine math che si aprivano sul territorio americano lungo tutti gli anni ’90, una sensazione confermata anche dal successivo dialogo strumentale ad intarsi, un’avventurosa tenzone crimsoniana inaugurata da un intenso inciso di tromba. Il plot twist è dietro l’angolo: se la prima parte di “Then” è un’indolente esplorazione slowcore, nella seconda le ossessioni For Carnation prendono la forma del basso pulsante di Riccardo “Jacco” Armeni, un martello pneumatico che scandisce il metronomico recitato di Davide Di Muzio (“Lighthouse keeper / Murdered on the cliff / And the cliff burns”). Prima del conclusivo, furibondo assalto (come dei Massimo Volume passati al tritacarne), “We” gioca a fare la versione mediterranea dei June of 44, fra melodie trasognate, synth stroboscopici e progressioni chiaroscurali: è poi il distonico post-core di “Met”, squarciato da una tromba quasi cool jazz, a rimettere le cose a posto. “Impero”, il pezzo che mancava allo split tra Jaga Jazzist e Motorpsycho, si congeda sulle note di un esistenzialismo massimalista: “Non resiste più l’intesa speranza che / Ci trovò fiduciosi guardare più in là / And here we are commossi se domani cedesse l'intera città”.

Impero

E l’impero… No, l’impero non è caduto. Si è trasformato, persino ampliato, ma quanto a cadere, figurarsi. A proposito di estrema resilienza: a febbraio è prevista l’uscita di “Delirio Experience”, sesto disco dei Meganoidi, il primo dal discreto “Welcome In Disagio” (2012). Da anni i genovesi lavorano nell’ombra, lontani dal periodo mediatico di gloria, ormai impossibilitati – per contingenze anagrafiche e musicali – a parlare direttamente ai nuovi giovani. È bene ricordare ai millennials, tuttavia, che oltre all’immediatezza dell’hic et nunc esiste un passato, concreto, la cui lezione è attualissima ancor oggi e va pertanto rispolverata. “And Then We Met Impero”, per quanto misconosciuto, è il capolavoro (etico e musicale assieme) di una band maiuscola: un disco di carne e sangue, sudore e lacrime. Un disco autentico ed autenticamente meraviglioso.

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