Litfiba
Grande Nazione
Il mondo è pieno di pazzi. Non ci riferiamo a quelli ben presenti nell'immaginario collettivo, tipizzati e caratterizzati da evidenti disagi psichici. Quelli meritano rispetto (e talvolta ammirazione) per la loro capacità di ripudiare il "normale", per la grande fortuna di vivere in mondi paralleli, per la forza con cui sanno difendere la loro libertà. Ad esempio: c'è un tizio, in questo preciso momento, che - armato di racchetta e con i calzini gonfi di palline di tennis - sta giocando una partita immaginaria contro la facciata del condominio di fronte a casa mia. Si impegna, suda, bestemmia, a volte sbaglia il servizio e perde la pallina in mezzo alla strada, ogni tanto inciampa sul cartone di Tavernello che ha lasciato a bordo campo. Ma ha l'aria felice, e ne ha ragione. Perchè lui magari sta stracciando Roger Federer a Wimbledon mentre tu non hai mai vinto neanche un set alle scuole medie.
Un pazzo vero è uno che vive la "normalità" senza misura, che assume l'eccesso come paradigma universale, che non riesce a subire il confronto con il resto del mondo. Uno come Spintone.
Spintone doveva il suo soprannome ad una serie di pessime abitudini. Se ti incontrava per strada, Spintone faceva di tutto per non essere visto, poi ti raggiungeva alle spalle e ti spingeva con tutta la forza che aveva. Grazie a Dio era un mezza sega, e il più delle volte non provocava danni. Ma alcune volte i malcapitati "amici" Spintonati finivano con la faccia per terra, e qualcuno ci ha anche rimesso un paio di incisivi. Scherzava così, il deficiente. Quando ti parlava poi, Spintone richiamava costantemente la tua attenzione toccandoti il braccio, la spalla o il fianco. Secondo la leggenda, i migliori amici di Spintone, quelli più pazienti nell'ascoltare i suoi sproloqui a base di rapporti sessuali mai consumati, moto mai comprate e risse mai avvenute, avevano almeno un paio di costole incrinate.
La colonna sonora della vita di Spintone (raccontata, romanzata ma probabilmente mai vissuta) era composta da tre soli personaggi: Jim Morrison (“Dio”, nella religione di Spintone), Vasco Rossi ("Il Sommo Sacerdote”) e Piero Pelù (“Il Profeta”). Il fatto che Jim (perchè Spintone li chiamava confidenzialmente “Jim”, “Vasco” e “Piero”) fosse divino e Piero e Vasco solo terreni si doveva al fatto che il primo aveva avuto un merito in più. Era morto. Nei confronti di Piero però, nutriva una passione particolare, dovuta ad un incontro (immaginario, probabilmente) avvenuto su un traghetto Genova-Olbia, durante il quale Piero gli aveva raccontato tutti i retroscena dei Litfiba. Non riporteremo i dettagli del racconto per rispetto dell'intelligenza di chi legge.
Spintone non si è mai mosso dal quartiere, ma negli anni ho imparato ad evitarlo accuratamente per due motivi: il primo è l'affetto che provo per i miei incisivi, il secondo è che non ne potevo più di sentirlo frignare per lo scioglimento dei Litfiba. L'errore è stato mio, lo ammetto: negli anni '90 io e Spintone siamo andati a vedere i Litfiba dal vivo almeno cinque volte: il tour di "Terremoto", quello di "Spirito", il tour acustico... In quel periodo la passione per i Litfiba ci accomunava, ma dopo poco la tensione tra noi diventò insopportabile: mentre io recuperavo e mi innamoravo di "Desaparecido", “Litfiba 3” e “17 Re”, Spintone guardava avanti, mi chiedeva le mie impressioni su “Mondi Sommersi”, e non sopportava l'idea che a me non piacesse per niente, così come odiava il mio rifiuto di riconoscere “El Diablo” come “il miglior disco dei Litfiba”. Questa distanza tra Spintone e il resto del mondo era ormai incolmabile quando il povero cristo ricevette dalla vita il colpo basso, la ferita mortale: i Litfiba si erano sciolti. Spintone smise di comunicare con tutti, come se accusasse noi del suo lutto. Noi, piccoli pseudo-intellettuali che avevamo tradito il vero rock dei Litfiba (che all'epoca – è bene ricordarlo – cantavano “Il mio corpo che cambia” e “Mascherina”) per le altezzose pretese di Marlene Kuntz, CCCP/CSI, Bluvertigo e Disciplinatha.
Qualche giorno fa, è successo. Spintone mi è venuto a cercare. Qualche vecchio amico mi aveva già avvisato che “mi voleva parlare” in occasione dell'uscita del nuovo singolo dei Litfiba post-reunion (“Sole Nero”), ma questa volta c'è di mezzo un album intero, il primo dal 1999. Spintone ha suonato il campanello alle dieci di sera. Io non sapevo se fingere di non riconoscerlo o chiamare la polizia. Alla fine ho aperto la porta e lui non ha detto né “Ciao” né “Come stai?” ma: “Ce l'ho”. Mi ha trascinato a casa sua (spingendomi), mi ha buttato uno sgabello sotto il culo e ha ruotato di 360° il controllo del volume del suo mega-impianto hi-fi. Le sue ultime parole, minacciose, sono state: “Adesso dimmi che non è un capolavoro”.
Piero attacca alla sua maniera gridando "Un, Dos,Tres!", poi un tessuto elettronico degno dei Subsonica più vitaminizzati introduce il riffing classico di Ghigo, quasi sovrastato dalla potenza della sezione ritmica (Daniele Bagni al basso, che aveva seguito Pelù dopo la "diaspora del '99", e Pino Fidanza alla batteria, uno che nei Litfiba non ha mai suonato). Il pezzo è veloce e decisamente orecchiabile, ma il ritornello è di una banalità sconcertante e quando al minuto 2:42 Pelù da il via al solo di Renzulli gridando "Fiesta Tosta", provo un momento di sincero imbarazzo. Vorrei farlo presente a Spintone ma lui è lì, in piedi, con gli occhi chiusi e il petto gonfio, che si dimena come un tarantolato. Decido allora di aspettare il brano successivo, e sbaglio: quando parte il riff monolitico (vagamente ispirato a "She's just killing me" degli ZZ Top) del singolo ("Lo Squalo") sembra di ascoltare un brano di "Terremoto". Pelù canta una cosa tipo "Sonno llo sguallo" e Renzulli tira fuori un "solo" che neanche Ted Nugent quando improvvisa dal vivo su "Cat scratch fever" oserebbe. Quando nel finale Pelù evidenzia un problema con i pronomi personali ("Lo squalo sono me"?) provo a farlo notare a Spintone ma lui mi fulmina: "Beh, cazzo c'entra, Pelù ste cose le ha sempre fatte".
Il titolo del terzo brano fa sperare ("Elettrica Danza"?) e preoccupare ("Elettromacumba"?): nessuna delle due, "Elettrica" è piuttosto una buona canzone degnamente erede di "Fata Morgana" prima e (vabbè, dai) "Regina di Cuori" poi, completata da un testo che evita di ripetere ossessivamente le stesse quattro parole come nei due pezzi precedenti. "Tra te e me" recupera le tastiere (componente fondamentale dei primi Litfiba, con Antonio Aiazzi e spesso con Francesco Magnelli) ma alla fine è una delle canzoni peggiori, sembra un pezzo dei Negrita. "Capito Spintò, pare un pezzo dei Negrita!" urlo, ma lui non mi sente, ed è già in estasi ritmica sulle note di "Tutti Buoni", brano rock (come lo intendono quelli di Virgin Radio) dedicato alla casta ("Tutti bravi, tutti buoni/ma solo in tempo di elezioni").
Le prima ballata si intitola "Luna Dark" e si inserisce nella tradizione soft rock del Pelù solista. Spintone sta piangendo ma si scuote immediatamente sul punk-rock di "Anarcoide", che sembra un pezzo di "El Diablo" e fa rimare "energia" con "ipocrisia" e "lobotomia". Il mio amico non potrebbe chiedere di meglio, e io quasi mi vergogno di non provare le sue stesse selvagge emozioni, mi sento un vecchio noioso e borioso. Sono talmente snob che durante la title track (con tanto di intro simil-"Gioconda") e "Brado" mi distraggo complementamente e osservo la pareti della stanza di Spintone: ci sono tutte le locandine dei concerti dei Litfiba dal 1992 ad oggi, c'è una foto sua e di Pelù con l'autografo di Piero in basso e il mare sullo sfondo (ma allora era vero!), e dietro la porta c'è appesa una foto di Gigi "Cabo" Cavallo con le corna e gli occhiali disegnati a penna e un dozzina di freccette infilzate sulla faccia.
E in quel momento mi rendo conto che non avrò il coraggio di dirgli la verità: ovvero che questo disco è pessimo, che camuffa la totale mancanza di idee (melodie, arrangiamenti.. non c'è niente) con una serie di suoni compressi e filtrati in maniera talmente innaturale che sembra registrato dentro un tubo d'acciaio, che se proprio una reunion dei Litfiba fosse stata auspicabile, non era per questo hard-rock da birreria che si sentiva la loro mancanza. Mi rendo conto che il problema non è lui e non sono nemmeno i Litfiba. Il problema sono io, che non li capisco e che - in fondo - non li avevo capiti neanche ai tempi di "Terremoto". Perciò, mentre Pelù sfuma le danze sulle note di una classica rock-ballad intitolata "La mia valigia", io alzo le braccia al cielo e grido "Cazzo Spintone, sembra di essere tornati ai tempi di "Terremoto"!". Lui mi spinge giù dallo sgabello e poi - ormai in lacrime - mi abbraccia: "Lo sapevo! Lo sapevo che avresti capito! Ci andiamo a vederli dal vivo vero Fa? Come ai vecchi tempi!".
"Certo, amico mio. Come ai vecchi tempi" .
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