V Video

R Recensione

7/10

Litfiba

Lacio Drom (Buon Viaggio)

Correva l'anno 1995. I Litfiba, alfieri della new wave italiana negli anni '80, virati nel decennio successivo verso un rock compatto e senza fronzoli ma ancora poetico e impegnato, arrivano al traguardo del 15° anno di carriera e al 10° dall'uscita del loro primo album, il seminale Desaparecido. L'anno prima invece era stato rilasciato Spirito, 6° lavoro (prodotto da Rick Parashar, già detro il mixer in Ten dei Pearl Jam) che allargava gli orizzonti musicali della band, dopo la deriva quasi metal di Terremoto, verso la world music e le contaminazioni etniche.

Uscito insieme a una VHS dall'omonimo titolo, con riprese di backstage, istantanee rapite tra il pubblico e cazzeggi assortiti del tour di supporto dell'album, Lacio Drom (Buon Viaggio) è un'atipica raccolta che incorpora al suo interno vario materiale, assemblato più per dare maggior peso commerciale al video che per vera e propria scelta artistica. Nonostante questa origine poco "nobile", l'album fotografa il quintetto fiorentino nel punto più alto raggiunto nel decennio, capace di unire in un'alchimia magica il rock travolgente e le ritmiche più vicine alla nostra tradizione popolare, la poesia e l'impegno sociale.

I primi 4 brani, tutti tratti da Spirito, sono remix effettuati a Los Angeles per rimediare al non eccelso lavoro svolto da Parashar in sede di registrazione. Le nuove versioni, pur discostandosi di poco, suonano molto più compatte e incisive degli originali. La title-track apre le danze con il suo ritmo gitano e non a caso Piero Pelù nel testo usa i Rom, popolo vagante per antonomasia, come metafora per esaltare il tema del viaggio. Tema che viene ripreso nella splendida No Frontiere, ballata molto suggestiva che passa dalla strada e dall'asfalto di Lacio Drom alle metafore galattiche delle stelle dell'Orsa e del Delfino, prima di aprirsi in un ritornello di grande impatto. Già questi primi 2 brani mettono in mostra le molte suggestioni etniche: flauti andini, chitarre acustiche, xilofoni e percussioni assortite si sposano alla perfezione con i più tipici strumenti rock. Rock che torna prepotente nei successivi 2 brani, Spirito e Lo Spettacolo: mentre la prima è un inno alla libertà, gioiosamente urlato su un sottofondo prepotente di chitarre elettriche, la seconda racconta in modo sarcastico del successo e di come lo showbiz ti può ingabbiare.

La vera attrattiva del CD sono però i successivi brani, registrati dal vivo durante il tour. Particolari sono anche le registrazioni: i tipici suoni da live e le voci del pubblico si sentono solo in determinati momenti, come se fossero stati omessi in alcuni punti in sede di missaggio. Quasi come omaggio all'anniversario della carriera nella scaletta vennero riprese un gran numero di canzoni appartenenti al "vecchio" repertorio, riviste e riarrangiate col gusto e l'attitudine del tempo. Dal primo album ritornano La Preda, ancora più potente e dura dell'originale, e Lulù e Marlene, resa estremamente toccante per l'inizio con solo piano e voce, in cui Pelù ci dona un'interpretazione molto sentita, mentre il resto della band fa salire di tono il finale. Onda Araba è addirittura un brano antecedente al primo album, e, come il titolo stesso ci fa supporre, trasporta l'ascoltatore nella lunga intro tra sitar, violini e il salmodiare da muezzin di Pelù. Santiago con il suo testo politicizzato (e dittatura e religione fanno l'orgia sul balcone) critica la visita di Giovanni Paolo II all'allora dittatore Pinochet. Magistrali gli inserti di flauti andini, l'assolo finale di Ghigo Renzulli e la variazione di testo nel ritornello finale, con citazione agli orrori della guerra di Bosnia, che in quell'anno raggiunsero il loro culmine. Il Vento, altro brano solare e disteso, si segnala soprattutto per contenere l'autocitazione del ritornello di Eroi nel Vento, altro storico brano. Più recenti ma non meno belle sono Suona Fratello, tarantella per piano, voce e chitarra, e Africa, ultimo continente toccato dalla band dopo l'Asia e l'America: aperta da un assolo di flauto, e ricca di percussioni tribali, è un duro atto di accusa all'Europa per la sua indifferenza nei confronti del Continente Nero, e al razzismo che circonda i suoi popoli.

Non è sicuramente un capolavoro, né il miglior album della band, ma fotografa il quintetto fiorentino in un particolare momento della sua carriera, l'ultimo felice prima del declino artistico di Mondi Sommersi e Infinito, e della seguente separazione di Piero Pelù e Ghigo Renzulli.

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Voto degli utenti: 4,3/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Dr.Paul alle 8:29 del 21 gennaio 2011 ha scritto:

strana scelta per un album dei litfiba! posso sopportarli fino a el diablo, oltre non ci riesco proprio!! riguardo questo disco massimo rispetto per 4 dei pezzi live: Il Vento è una delle mie preferite in assoluto, pazzesco pensare che non abbia trovato spazio in Litfiba 3, poi "lulù e marlene", "santiago", "la preda", il resto poca cosa...

Norvegese, autore, alle 10:20 del 21 gennaio 2011 ha scritto:

Beh si, è un lavoro certamente minore nella discografia dei Litfiba. Ho scelto di recensirlo per ragioni affettive, anche se comunque spero di essere stato obbiettivo nel giudizio

fabfabfab (ha votato 6 questo disco) alle 11:10 del 21 gennaio 2011 ha scritto:

A mio avviso il giudizio è obiettivo: non è sicuramente il migliore o il più rappresentativo della band (come giustamente fa notare Giuseppe), ma è un disco che fotografa un buon momento (forse l'ultimo) della band e ripesca alcune delle sue migliori canzoni (come "Onda Araba" e "Lulù e Marlene") nella dimensione live, che - li avrò visti dal vivo 4 o cinque volte - era decisamente la loro preferita.

ozzy(d) alle 21:20 del 25 gennaio 2011 ha scritto:

questo mi manca, i litfiba per me finiscono con "Pirata", avevo giusto ascoltatoil disco della svolta grunge che aveva qualche singolo caruccio ( "Spirito"?). certo è che poi il pelù solista avrebbe fatto di peggio, dalla sacra triade populista con jova e liga al grido di lapaceèbellalaguerrabrutta alla mitica "toro loco, trombo poco".