Noah and the Whale
Heart Of Nowhere
Dice Pavese che una cosa sola, tra le molte, pare insopportabile allartista: non sentirsi più allinizio. Consapevoli o non consapevoli, i Noah and the Whale non sono più agli esordi. Quelli del 2008, quelli della fusione tra il nome del regista Baumbach (Noah) e di una metà di un suo film, la balena (Whale). Non sono più allinizio anche, e soprattutto, artisticamente: è decaduta la franchezza, è decaduto il desiderio di avanzare e migliorare, di sperimentare ancora, di far sì che la vocazione e lestro si trattengano intatti, si rafforzino nel tempo. Ascoltando Heart of Nowhere, quarto disco della truppa britannica, galleggia perennemente una sensazione di amarezza: per una profondità smarrita, librata via, che con sé ha condotto armonie e spontaneità.
Non cè lintimismo quasi toccante di The First Day of Spring: imperversa il pop più consueto, ma non più chamber, raccolto, disinteressato, meraviglioso. Un pop che stavolta omette i synth, che rincara la dose della batteria e del ritmo (Lifetime), che eleva e propaga il basso (Heart of Nowhere, Silver and Gold), che si libera in riff simpatici di chitarra (One More Night), che esagera con luso degli archi (lo si capisce già dal preludio, Introduction). Che nellestate potrebbe risultare gradevole e gentile, tra una spiaggia e un tramonto, ma che sancisce inevitabilmente un momento anonimo del gruppo britannico. Una perdita di smalto. Un passo indietro, insomma, certificato anche dalla qualità insipida dei testi, sebbene Fink non avesse mai brillato per complessità: era prassi ascoltare frasi senza arzigogoli e arabeschi, ma attraverso quella semplicità diffusa, genuina, lespressione arrivava dritta al cuore.
E comunque tutto ben architettato: i Noah and the Whale prendono il pennello, e per ogni brano tracciano un cerchio: preciso, pieno, ma per nulla seducente. Un disco a tratti leggero, un po artefatto, con melodie carine (come in There Will Come a Time, molto Springsteen), che scorrono senza catturare lorecchio e senza che la pelle tremi di qualche brivido. Non ci si sofferma, non rimane nulla, se non canzoncine orecchiabili, scialbe. O ballabili (All Through The Night). Neanche Anna Calvi, che impreziosisce ogni terra in cui mette piede, sembra rendere più dolce questo Heart of Nowhere, questo cuore in nessun luogo, intervenendo nel brano omonimo del disco, dove la voce cerca di liberarci dalle nostre prigioni (Ma tu vuoi vivere, vuoi provare / tu senti il mormorio del mondo esterno). E come se Fink (27 anni) e soci, una volta raggiunta la maturità se di maturità si può parlare a quelletà abbiano intrapreso la propria parabola discendente, con la senilità che intorpidisce vena creativa e suoni. E con lobbligo di incidere un album perché si deve, non perché qualcosa scatta dentro.
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