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R Recensione

9/10

Bill Evans

You Must Believe in Spring

You must believe in Spring” mi ha folgorato con la copertina, vagamente imparentata con quella di “Closer” dei Joy Division.

Un'immagine funebre al centro (anche se qui si tratta di un paesaggio autunnale, per Curtis e soci si trattava di una figura rubata al cimitero monumentale di Genova: ma la tonalità grigia e pensosa prevale in entrambi i casi), la stessa impaginazione, un'eguale capacità di evocare le tenebre, o meglio immagini di morte.

Non è questo il solo legame fra il capolavoro di Evans e la fine: almeno non per il sottoscritto, che ha riscoperto il disco in un momento terribile della propria vita, il classico momento in cui una tragedia personale imprevista rende banale ogni altra cosa.

Evans mi ha conquistato quando le tenebre erano fitte, grazie alla sua straordinaria empatia, grazie alla sua capacità di farti sentire accanto al pianoforte, nel salotto avvolto dalla penombra, mentre fuori la pioggia spegne un pomeriggo autunnale;  mentre si viene soverchiati da paure, angosce e dolori molto simili.

Le parabole tormentate, l'atmosfera fatalista, l'impareggiabile eleganza del tocco, trame sonore brillanti e calligrafiche: tutto ciò ha contribuito a creare un'empatia totale fra artista e ascoltatore, un miracolo che capita sempre troppo di rado. Empatia non casuale, perché il tema cardine di “You must believe in Spring”, a dispetto di un titolo che trasuda speranza, è la morte (e la copertina grigia è un serio indizio: il travaglio interiore di Bill è diventato insostenibile).

La morte intesa come ineluttaibile perdita delle persone più vicine, come immane tragedia personale, come approdo di solitudine: la morte interiore che Evans ha dovuto fronteggiare più volte nella propria vita, prima con la moglie suicida e poi con la prematura scomparsa del fratello, cui era legatissimo (tanto da sopravvivergli per pochi mesi).

“Tu devi credere nella Primavera”, allora, sembra più che altro una incitazione autoreferenziale, quasi che Evans stesse parlando con lo specchio. Quasi che volesse convincersi a non gettare la spugna, anche quando tutto induce a farlo, senza preoccuparsi troppo delle reazioni del pubblico.

Anche qui, come quasi sempre nel corso della carriera, il geniale pianista dal tratto gentile e nobile rivolge la propria attenzione esclusivamente verso la propria persona: il suo pianoforte riesce nell'impresa di dare un suono alla timidezza, è la traduzione in sette note del concetto stesso di introversione.

E del resto, titoli come “Conversations with myself”, “How Deep is the Ocean”, “Explorations”, o live poderosi come quello del Bill Evans Trio al Village Vanguard, sono emblematici di uno stile tutto ripiegato verso la ricerca interiore e l'espressione più candida e pura dei propri sentimenti. Senza mediazione, senza alcun desiderio di assecondare gli ascoltatori.

E quest'ultima opera, pubblicata poco dopo la morte (a soli 51 anni), e incisa pochi anni prima, sintetizza in pochi brani il senso di solitudine che permea tutta la carriera dell'artista, ma è anche e soprattutto la gemma assoluta della sua discografia, oltre che della collaborazione con Eddie Gomez.

B Minor Waltz” (For Ellaine) potrebbe essere uscita dalla penna di uno qualsiasi fra i grandi romantici dell'800, se non fosse per lo swing (per quanto appena accennato) che  ne vivacizza il tratto. Il Walzer consente ad Evans di mettere in mostra un repertorio tecnico e una formazione di stampo classico, oltre che il suo tocco delicatissimo e quasi perlato, il suo incedere mesto e strenuamente malinconico, la sua eccellente inventiva melodica. La dedica alla moglie da poco scomparsa getta ombre sulla linearità del tema, apre prospettive oscure e (mi si conceda la contraddizione) dolcemente agghiaccianti (in questo equilibrio, in realtà, sta tutta la magia del disco).

Si tratta di un pezzo straordinario, ricco di sottigliezze, ricami e pennellate d'autore.

Leggermente più movimentata è la title-track, ampio spettro di emozioni che si muove con la consueta eleganza regale fra la tristezza più inguaribile e sprazzi di vitalità, con tanto di un brillante solo al contrabbasso.

La capacità di Evans di concepire melodie intense e struggenti risulta fuori concorso: e basta un semplice ascolto a “Gary's theme”, o alla pensosa “We willl meet again (For Harry)", quadri di bellezza spiazzante (specie il secondo, commovente acquarello dedicato al fratello), disegnati con maestria impareggiabile, per rendersene conto. Bastano le note centellinate che illuminano il tema centrale di "Peacocks", forse l'apice emozionale del disco tutto, per stringerci il petto.

“Suicide is Painless” (che rimaneggia un tema popolarissimo, una sigla televisiva addirittura) è invece il testamento definitivo del pianista, ove si avvicendano rassegnazione, scoramento e la volontà di abbandonarsi finalmente alla pace per dimenticare i troppi dolori inflitti dalla vita, enfatizzati peraltro da una sensibilità estrema.

Il brano è una gemma assoluta non solo dal punto di vista “poetico”, ma anche strettamente formale e musicale, perchè lungo i suoi solchi Bill dimostra una volta di più una grande fantasia melodica, un uso sapiente dei silenzi volto a valorizzare i singoli incisi, la capacità di trarre spunto da classici e standard jazz per liberarli progressivamente da certi steccati armonici e svilupparne le possibilità melodiche ed espressive.

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Voto degli utenti: 8,2/10 in media su 5 voti.
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C Commenti

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dalvans (ha votato 5 questo disco) alle 0:10 del 7 ottobre 2011 ha scritto:

Noioso

Inconcludente

Utente non più registrato alle 12:10 del 7 ottobre 2011 ha scritto:

Nella Splendida discografia di Bill Evans questo album non spicca in modo particolare...magari spicca di più se considerato nel contesto dei suoi dischi degli anni 70...Ma non c'è più il feeling vibrante così palpabile nel trio evans-motian-lafaro del leggendario Sunday at the village vanguard o del gemello più tenero Waltz for Debby (quelli sì) da 10 e lode...Non esiste un trio più bello di quello. comunque nel complesso l'album non è da disdegnare, tra i brani più interessanti La title Track e Theme from Mash..

Utente non più registrato alle 12:13 del 7 ottobre 2011 ha scritto:

ah...il voto

Inteso come Buono non come tre stelle e mezzo...

FrancescoB, autore, (ha votato 9 questo disco) alle 12:16 del 7 ottobre 2011 ha scritto:

Rispetto ovviamente il tuo parere, anche perchè si tratta di gusti, ma secondo me questo lavoro è fra i 2-3 migliori di Evans.

Utente non più registrato alle 12:49 del 7 ottobre 2011 ha scritto:

Sì sì, è una questione mia di gusto personale, alla fine. I miei preferiti in assoluto sono (oltre ai due live del vanguard) Explorations - meraviglioso, forse il migliore- portrait in Jazz e everybody digs bill evans (precedente al trio con lafaro)...appena sotto a questi metterie Conversations with myself...comunque è stato lui a farmi innamorare del Jazz, nel leggendario Kind of blue di Miles Davis...

FrancescoB, autore, (ha votato 9 questo disco) alle 14:23 del 7 ottobre 2011 ha scritto:

Ecco, io metto ai primissimi posti questo, "Everyboyd Digs Bill Evans" (forse il mio preferito in assoluto) e "Conversations with myself". Un gradino sotto "Waltz for Debby", "Portait in Jazz" ed "Explorations". Anche "Alone" merita parecchio.

Del lavoro che ho recensito mi hanno sempre colpito gli straordinari incisi melodici, uno più toccante dell'altro: poi nutro anche un profondo legame personale che probabilmente incrementa il tutto.

Comunque artista meraviglioso, su questo siamo perfettamente d'accordo )

Paolo Nuzzi (ha votato 10 questo disco) alle 13:17 del 21 aprile 2015 ha scritto:

Il mio preferito resta "Explorations", poi ho un debole per "Alone" e il disco in duo con Jim Hall "Undercurrent"

Paolo Nuzzi (ha votato 10 questo disco) alle 13:16 del 21 aprile 2015 ha scritto:

10 pieno, uno dei vertici, se non il vertice emotivo-interpretativo dell'immenso Bill. Capolavoro in tutto e per tutto, sin dalla splendida copertina. Bravissimo, come sempre.

FrancescoB, autore, (ha votato 9 questo disco) alle 20:33 del 21 aprile 2015 ha scritto:

Bravo Paolo, buongustaio. Il mio preferito per intensità e colori è questo, forse il più bello dal punto di vista strettamente strutturale per me è "Everybody Digs Bill Evans", ma davvero lui è fra i pochi che non hanno mai sbagliato nulla, o quasi. Per dire, quanto è bello e commovente "Waltz For Debby?"

Bill quanto a mood è stato un indie introverso ante litteram per davvero, solo dotato di conoscenze enciclopediche e di una qualità compositiva-esecutiva-interpretativa senza paragoni o quasi. Uno fra i massimi musicisti del novecento.

Paolo Nuzzi (ha votato 10 questo disco) alle 8:31 del 22 aprile 2015 ha scritto:

Sono d'accordo, mio caro. C'è "Piece Peace", ispirato da Bernstein, che però a me ricorda molto anche Satie." Waltz for Debby", poi, capolavoro formale. Credo siamo tutti d'accordo nel definire le cose registrate e suonate col mitico trio LaFaro-Motian-Evans come ineguagliabili e di cristallina bellezza. Adoro anche "How my Heart Sings". Genio assoluto con pochissimi eguali. Il Debussy del Jazz, senza dubbio.