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R Recensione

7,5/10

The World is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die

Whenever, If Ever

E' bello sapersi scegliere la ragione sociale, ma a volte si sbrocca proprio.

Non vedo altro motivo valido per individuare un appellativo come The World is a Beatuful Place & I Am No Longer Afraid to Die. Tanto più se poi il disco lo intitoli semplicemente "Whenever, If Ever".

Per fortuna, i ragazzi del Connecticut, che bazzicano l'ambiente indie rock da tre anni buoni, si riscattano con la musica. Personalmente, associo questa proposta all'immaginario di film come "My Own Private Idaho" (in Italia, "Belli e Dannati", e mi chiedo da sempre perché). Spazi aridi e immensi, che stringono il cuore, che fermano il respiro.

I The World etc.. sembrano intravedere nella foschia di polvere la "strada che gira intorno al mondo" vaneggiata da Mike Waters, alias River Phoenix, nel finale del capolavoro di Gus Van Sant.

Intraprendono un viaggio altrettanto affascinante e abbagliante. Le trame del sound sono chiaramente vicine a quelle teorizzate da Kinsella nell'epocale "American Football", così come alle geometrie soft-noise dei Van Pelt. In pezzi come "Fightboat" e "Picture", poi, si avvertono affinità con band più abrasive come i poderosi Circle Takes the Square di "As the Roots Undo" (miglior disco post-hardcore dell'ultimo decennio, colpevolmente ignorato), la cui foga spigolosa viene tuttavia progressivamente sciolta in un secchio d'acqua cristallina.

Il violoncello aggiunge alla miscela un tocco di eleganza neo-classica e molto post-rock che non guasta. La protagonista principale, in ogni caso, è sempre la chitarra, che ti tortura l'anima con pennellate che fendono il cielo, cristalline, di una bellezza penetrante. Le voci sono spesso più di una, e questo, unitamente al continuo gioco di volumi e di ritmi regala un grande dinamismo sia orizzontale (nello sviluppo delle strutture) che verticale (nei volumi, nel sound complessivo) ai brani, ora spiritualmente più vicini al post-rock tout court, ora più emo-core tirato e spavaldo.

In questo senso, ancora "Picture of a Tree That Doesn't Look Okay" è illuminante, con la chitarra, prima decisamente "American Football", che poi si inalbera in progressioni affini al post-core, in modo apparentemente convluso e invece calibratissimo. "You Will Never" è altrettanto bella e efficace, più corale (ancora i dialoghi fitti dei Circle Takes the Square), con i contorni delle melodie che sfumano dentro strutture chitarristiche sempre più versatili e mobili.

"Ultimate Steve" è inzialmente più meditabonda e slow-core (si tratta sempre di una serenità sinistra), ma lentamente si trasforma in una raffica decisamente math-core, con voci sempre più stratificate ed a un passo dal grido. "Gig Life" suona invece degna di un grande songwriter, anche perché la scrittura melodica è più articolata e riconoscibile, sebbene le chitarre danzino sempre a meraviglia.

"Getting Sodas" chiude le danze dilatando i tempi e sfiorando ancora il concettualismo post-rock, caricato tuttavia di una tensione di regola aliena a quel contesto. Il nome della band diventa un mantra estenuante, sfilacciato, che si sfibra poco a poco. Neanche qui si evita di cavare grida leggermente lacerate dalla gola dei nostri compari: che forse non sanno scegliere i nomi, ma che per fortuna sanno elaborare un'architettura sonora stupefacente.

Segnatevi il disco, allora: perché questo è uno dei momenti clou del rock targato 2013.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 4 voti.
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C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 12:04 del 27 luglio 2013 ha scritto:

Oh sì. Molto bello davvero. Queste sono chitarre che potrei ascoltare all'infinito, e riuscite le sortite post rock (bello quel violoncello, davvero). Incredibilmente riesco a reggere anche la voce. Sarebbe stato ancora meglio senza quella sorta di scream che compare a sprazzi, una tantum... Bravo Francesco a segnalarlo.

FrancescoB, autore, (ha votato 7,5 questo disco) alle 12:09 del 27 luglio 2013 ha scritto:

Mi fa piacere che apprezzi, Marco. Non ci sono i vertici di "poesia" di American Football, ma le trame sono molto interessanti e ricche. I pezzi mi suonano quasi tutti splendidi. Dopo ulteriori ascolti, confermo: per me è fra i dischi dell'anno.